Rocce viscide e disattenzione le cause della morte di Fabio Canaletti sul Sass de Stria

L’ingegnere padovano sabato è caduto per una quindicina di metri mentre scendeva da un’escursione

LIVINALLONGO. La roccia resa viscida dalle piogge e un insieme di sfortuna e disattenzione sono le principali indiziate per la morte di Fabio Canaletti, quarantatreenne ingegnere informatico morto dopo un volo di quindici metri sulla discesa della via Normale del Sass de Stria al di sopra del passo Falzarego. . Le prime ricostruzioni rese dai soccorritori del Soccorso alpino, che ne hanno recuperato la salma, con il passare delle ore avrebbero trovato conferma. L’uomo aveva completato senza difficoltà l’ascesa e, con il resto della comitiva, poco dopo le 13 di sabato scorso aveva cominciato la discesa. Si erano trattenuti poco in vetta perché il meteo era stato instabile per tutta la mattina e non aveva risparmiato loro qualche acquazzone. La voglia di tornare a valle per asciugarsi e fare rientro era quindi forte e il gruppo si è avviato lungo il tratto roccioso.

Gli ultimi momenti di vita di Fabio si sono consumati a metà della via, all’altezza di una vecchia trincea di guerra dove è sistemata una scala in ferro per agevolare la salita e la discesa lungo un passaggio che non presenta – dicono gli esperti – particolari difficoltà, tanto da non richiedere spiccate doti alpinistiche. È lì, prima di affrontare la scala, che il quarantatreenne avrebbe preso la decisione che gli è costata la vita.

Anziché calarsi lungo i pioli ha deciso di fare una breve deviazione esterna affrontando dei piccoli salti di roccia in discesa. Forse per fare prima evitando di aspettare il passaggio uno alla volta di tutto il gruppo, forse per evitare di bagnarsi di più. Solo Fabio può sapere cosa lo abbia spinto a scegliere di avventurarsi su quei sassi “unti” come si dice in gergo, scivolosi per l’acqua che ha drasticamente abbassato il grip degli scarponi. La montagna, gloriosa ma che non perdona, se lo è presa dopo un piede in fallo che lo ha fatto volare una decina di metri più a valle. Nonostante l’abbigliamento e l’attrezzatura i traumi sono stati fatali. «Fabio era un grande appassionato di sport e di montagna, pur non appartenendo a squadre o gruppi sportivi era preparato e mai avventato. Era sicuramente uno sportivo, ma prima di tutto un padre di famiglia, attentissimo e preciso».

In casa dei genitori, a Padova, all’indomani della tragedia parenti e amici si sono stretti attorno ai due anziani, devastati dalla scomparsa del loro unico figlio. Vogliono ricordarlo come un uomo riservatissimo ma generoso, sempre attento ai bisogni altrui. —

Serena De Salvador

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi