Premio a Bona per 50 anni di giornalismo

BELLUNO. Tutto ebbe inizio più di mezzo secolo fa con un articolo su una gara ciclista. Il primo di una lunga serie, visto che Renato Bona, giornalista bellunese, ha fatto la storia dell’informazione in provincia di Belluno, e non solo, per oltre 50 anni, da Il Resto del Carlino al Gazzettino, al Corriere delle Alpi. E ieri l’Ordine dei giornalisti del Veneto, al termine dell’assemblea degli iscritti, all’hotel Bologna di Mestre, gli ha consegnato la medaglia d’oro per l’importante traguardo raggiunto.
Mezzo secolo di giornalismo: praticamente una vita spesa per l’informazione.
«Nel corso della mia carriera ho attraversato tantissimi cambiamenti della società bellunese. Dal punto di vista politico, ho assistito al tracollo della Democrazia Cristiana, all’avvento dei socialisti e della Lega Nord. Di quest’ultima ho registrato la nascita, prima timida e poi con un’“esplosione”. Gli anni Novanta videro l’inizio della controversa stagione di Mani pulite e di Tangentopoli. Ho potuto vedere, nel capoluogo, il ricambio generazionale dei sindaci e l’evoluzione del ruolo dell’ente Provincia, che a suo tempo era molto importante e che attualmente è stato praticamente “svuotato”. Sempre sul fronte della vita politica, c’è stato un periodo all’inizio della mia carriera al Gazzettino, alla fine degli anni Sessanta, in cui era vietato parlare dell’Appia (allora la definivano dei “socialcomunisti”). Ricordo che un giorno proposi un articolo, che fu accettato e pubblicato, suscitando l’ira di un parlamentare locale e, successivamente, dell’allora capocronista nei miei confronti. Ci fu poi una fase in cui l’accusa che mi veniva mossa era di essere un filosocialista, visto che avevo seguito la carriera politica di Giovanni Crema. Un’accusa che ho sempre respinto. Non a caso, a dimostrazione di ciò, in occasione di un congresso dedicai un’intera pagina a Bartolomeo Zanenga, solo per fare un esempio. Dare spazio a chi lo chiede non è lesa maestà».
Ci sono dei fatti che ricorda in modo particolare?
«Nel corso della mia carriera ci sono state alcune tappe fondamentali. La prima fu il disastro del Vajont: non fui tra i primi giornalisti a intervenire, ma come cronista del Resto del Carlino ebbi modo di seguire tutti gli avvenimenti, dalla sciagura alle colpe, dal coraggio di Tina Merlin al problema della ricostruzione. L’altra tappa fu quella dell’elezione di Albino Luciani a Papa, di cui scrissi l’articolo per l’edizione straordinaria del Gazzettino. Tra l’altro avevo conosciuto Luciani quando facevo il chierichetto in Duomo a Belluno (ed è stato proprio Bona a coniare l’espressione “Papa del sorriso”, ndr). Un terzo passaggio importante fu quello legato alla strage della Valle del Biois del 1944: negli anni Settanta fu avviata l’indagine e io fui inviato al processo che si tenne a Bologna (in quell’occasione conobbi anche Roberto Benigni, che alloggiava nel mio stesso hotel)».
Come ha visto cambiare il giornalismo in questi 50 anni? Quale futuro vede per questo mestiere?
«Innanzitutto, ovvio, sono cambiati molto gli aspetti tecnici. Agli inizi della mia carriera non c’erano telescriventi, fax o altro. Venezia riceveva e valutava. Poi sono arrivati i menabò e ricordo che, sempre da Venezia, arrivavano le pagine, ancora bagnate, con i residuali. Soprattutto per quel che riguarda l’aspetto pratico, ora si sta meglio. Però qualche decennio fa credo che il giornalista si sentisse più partecipe e protagonista. Ora si è andati un po’ incontro a una spersonalizzazione. Penso che a incidere sulla qualità dell’informazione ci sia questo aspetto: la fretta nel dare la notizia è aumentata perché ormai è tutto on line, quindi cresce la paura che venga “bruciata”. Dovrebbe esserci una via di mezzo tra come erano le cose un tempo e come sono ora».
In questi anni ha sicuramente conosciuto tante persone: quali ricorda con particolare stima?
«Sono diverse, ma posso citare Emanuele De Polo, cadorino, che fu caposervizio del Gazzettino, di cui ho un caro ricordo. Così come di Mario Bottari, il mio primo caposervizio e mio maestro. Non dimentico Giorgio Lago, che mi sostenne sempre, anche nei momenti più difficili».
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