Perenzin: «Il Trentino è un’illusione»

FELTRE. «Astenermi? Non ci penso neppure. Un rappresentante istituzionale non può farlo. Votare è un dovere e io andrò alle urne. Ma questo referendum non mi piace, non l’ho mai nascosto. Quindi, a costo di contribuire a far raggiungere il quorum, voterò no». Il sindaco Paolo Perenzin non teme il confronto con i referendari. E neppure le conseguenze politiche di una presa di posizione così netta. Nella sua maggioranza - e soprattutto nel Pd - le idee sul referendum per il distacco dal Veneto (e per la Regione Dolomiti) non sono altrettanto definite. Ma lui non fa calcoli. «Credo che questa mossa arrivi fuori tempo massimo. Aveva un senso quando l’ha fatta Lamon, si è dato un segnale, si è aperto un dibattito. Ma oggi lo scenario è cambiato. Intanto si è visto che i referendum non portano da nessuna parte e che dunque le aspettative sono state deluse. E poi lo strumento è abusato, ha perso efficacia». Peraltro la rotta che ha in mente il sindaco porterebbe da tutt’altra parte. «Io non vorrei che dessimo l’impressione di pensare soltanto a noi stessi», prosegue Perenzin. «C’è il rischio che anche questa volta dall’esterno il voto sia visto così, come una sorta di “si salvi chi può” che premia i comuni confinanti con il Trentino e lascia gli altri nei guai. Penso che sia più giusto lavorare per difendere l’unità della provincia in una fase così delicata. E trasmettere alla Regione un altro messaggio. Insomma, smettiamo di andare a Venezia a piagnucolare, a fare la parte delle vittime, e prendiamo una posizione forte, solleviamo questioni concrete, pretendiamo di discuterle. C’è uno statuto regionale che ha riconosciuto un’autonomia, ripartiamo da quello e chiediamo che sia attuato».
Certo, poi c’è anche la questione della Regione Dolomiti, che pesa tanto quanto il distacco dal Veneto per l’annessione al Trentino. «Ma costruire una regione dolomitica non comporta uno stravolgimento dei confini», è convinto il sindaco. «Quando la nostra provincia è stata salvata, l’altopiano di Asiago ha subito chiesto a Venezia di riaprire il tavolo sulle province montane. Il segnale è stato forte, anche se qualcuno non l’ha colto: la montagna chiede politiche adeguate. E allora può avere più senso ridisegnare il Veneto, con due aree metropolitane e una provincia montana che veda insieme noi e la montagna vicentina, che insistere per andare in Trentino, dove neppure ci vogliono». La macro-regione alpina («più che dolomitica») per Perenzin deve nascere dalla Convenzione delle Alpi: «La linea è quella. Non c’è bisogno di cambiare i confini, di traslocare in altre province. Ognuno può stare dov’è, ma con politiche adeguate, con un modello di sviluppo diverso. Ecco perché il referendum secondo me si dimostrerà sbagliato. Per Feltre lo è anche di più: noi non siamo come Lamon, non ci affacciamo sul Trentino, storicamente e culturalmente siamo veneti». E poi c’è la questione - cruciale - delle risorse. Che arrivano e continueranno ad arrivare, anche grazie ai referendum di Lamon e di Sovramonte. «Questo è già un risultato, certo», conclude Perenzin. «Ma la soluzione è a monte, ossia in una ripresa del dibattito sulla forma dello Stato, sulle autonomie, sul federalismo vero, sul trasferimento di competenze e quindi anche di risorse. La partita si deve giocare a Roma e la prossima legislatura in questo senso sarà decisiva».(cric)
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