«Per un prete non esiste confine tra ministero sacerdotale e partecipazione alla vita civile»
Monsignor Marinello (in carica ormai da 17 anni) non ha dubbi «Arcidiaconato e Magnifica sono gli autentici fari del territorio»

Monsignor Renzo Marinello (al centro) è arcidiacono del Cadore da ormai 17 anni
PIEVE DI CADORE.
Quali sono i ruoli dell'Arcidiaconato e della Magnifica? A questa domanda dà risposta lo stesso arcidiacono, monsignor Renzo Marinello, in un'intervista pubblicata sul mensile "Il Cadore", in distribuzione in questi giorni. «Magnifica e Arcidiaconato», afferma il religioso, «sono due fari sul territorio. Il confine tra ministero sacerdotale e partecipazione alla comunità civile non esiste per un prete; e ancora meno esiste per l'arcidiacono del Cadore la cui figura è di per sè una testimonianza storica». «Scelti da sempre fra i preti nati in Cadore e che hanno respirato la storia del popolo cadorino, gli arcidiaconi hanno un posto nel consiglio generale della Magnifica. Oggi, dopo tanti nomi illustri, sullo scranno a Pieve siede il 59º arcidiacono che alla bella età di 80 anni tiene l'incarico e regge le parrocchie di Pieve e di Pozzale».
Arcidiacono, cos'è rimasto di questo titolo?
«L'onore di servire la fede cristiana su tutto il territorio cadorino, con l'impegno d'incrementare l'unità tra tutte le comunità cristiane locali, in tutto 35. Inoltre di far vivere il Cadore cristiano in sintonia con la diocesi e di conservare, fin dov'è possibile, l'identità del popolo cadorino. Fino al 1936 l'arcidiacono era eletto dalla Magnifica; ora invece lo nomina il vescovo scegliendo tra i preti nati in Cadore».
I cadorini hanno ancora un'identità?
«E' esposta a rischi e pressioni specialmente a causa dell'accresciuta mobilità della gente, ma c'è ancora. In Cadore siamo in tanti a sentire il senso di appartenenza, ad apprezzarne i valori. Si potrà mantenere credendo nei valori e praticandoli».
Quale il ruolo dell'arcidiacono in Magnifica?
«Un' azione discreta, con interventi più o meno evidenti, ma che hanno sempre un peso. Intanto posso dire di non essere mai mancato ad un consiglio nel corso dei miei 17 anni di arcidiaconato. Nelle grandi occasioni, come la visita di Papa Giovanni Paolo II, nel luglio del 1996, ho lanciato le proposte ed riscontrato risposte e collaborazione di tutti. Anche per le celebrazioni dell'ottavo centenario della nascita delle Pievi, c'è stata una risposta corale da parte anche delle autorità civili. Quando ho celebrato il 50º di sacerdozio, nel 2005, il Cadore intero, religioso e civile, si è fatto presente, tanto che mi sono davvero stupito».
Pieve è una parrocchia importante, ma lei è solo...
«Tutte le parrocchie hanno la stessa dignità. Certamente il numero scarso di sacerdoti crea difficoltà. Ho solo un aiuto da don Alberto Bisson che arriva da Belluno per le festività. E' molto generoso e viene anche in altri giorni. In compenso c'è una più viva presa di coscienza da parte dei laici».
Quali i momenti più belli del suo arcidiaconato?
«Il Papa a Pieve, Papa Benedetto a Lorenzago, l'8º centenario delle Pievi cadorine. A parte gli incontri coi Papi, il fatto più importante fu l'8º centenario delle Pievi».
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