Pavone: «Più che corretto il quadro accusatorio»

Il procuratore chiuderà a fine anno la sua lunga carriera da magistrato. «Dimostrata la collusione tra amministratori e chi ha partecipato all’appalto»

BELLUNO. La parola all’accusa. Il procuratore Francesco Saverio Pavone ha chiuso la propria lunga carriera di magistrato con il processo Franceschi. Il fatto che dimostri diversi anni in meno di quelli che ha, non lo libera dalla pensione.

La sua ultima requisitoria era durata quattro ore e la sentenza gli ha dato ragione. Soddisfatto?

«Non è che un un pubblico ministero debba essere soddisfatto o meno. Noi perseguiamo fatti penalmente rilevanti: significa che l’impianto accusatorio era più che corretto e, sotto il profilo processuale, esaustivo ai fini della responsabilità penale e gli imputati sono stati condannati per le violazioni di legge che ha commesso. Indubbiamente le indagini che erano state svolte a suo tempo si sono rivelate corrette. Avevamo contestato la turbativa d’asta e abbiamo potuto dimostrare la collusione tra i pubblici amministratori e chi ha partecipato all’appalto».

La minaccia a pubblico ufficiale, in questo caso il comandante Salvato?

«È chiaro che il primo cittadino possa dare degli indirizzi politici, ma non è nei suoi poteri il fatto di sostituirsi al capo dei vigili urbani e stabilire quali reati, anche stradali, perseguire. Questa era la sostanza del processo e anche in questo caso l’impianto accusatorio ha retto del tutto».

Condivide le assoluzioni per l’abuso d’ufficio e la tentata violenza privata?

«Riguardano questioni valutative, sotto il profilo giuridico. Il discorso è che l’abuso d’ufficio è già contemplato nella turbativa d’asta e non è che potesse essere condannato due volte per lo stesso reato. Francamente non ho capito bene le motivazioni sulla tentata violenza privata, ma ci poteva anche stare nel capo d’imputazione. Devo confessare che qualche dubbio ce l’avevo anch’io. Ad ogni modo, cambia poco, all’interno del quadro complessivo».

Al primo cittadino sono state negate le attenuanti generiche. Perché?

«È uno degli aspetti più rilevanti. Questa è un’ulteriore prova del fatto che nel Comue di Cortina c’è chi si è comportato piuttosto al di fuori della legalità, con atteggiamenti più da padrone che da sindaco».

Indagini complicate e qualche polemica che lei non ha raccolto...

«Normalmente non mi tiro mai indietro, ma ho voluto tenere un profilo basso. Non volevo polemizzare con l’imputato, anche perché non l’ho mai fatto durante la mia carriera professionale. Semmai è stato Franceschi a sollevare un polverone, parlando di esilio, quando si trattava semplicemente del divieto di dimora. La misura è stata correttamente imposta. Quanto a me, vado in pensione dopo aver tenuto fede all’impegno che mi ero imposto, quando sono arrivato a Belluno da Venezia: tutelare la provincia da questo tipo d’illegalità». (g.s.)

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi