Padrin: «Vogliamo che la verità sul Vajont venga finalmente scritta sui libri di scuola»

L’intervista
«La tragica lezione del Vajont non è stata affatto imparata». Lo riconosce, disarmato, Roberto Padrin, sindaco di Longarone, a 55 anni da quella immensa tragedia.
Lo dite ogni anno che il Vajont non ha insegnato nulla. Non dovreste cambiare registro?
«Quanto è accaduto a Genova, con il ponte Morandi, ha dimostrato, neppure due mesi fa, che non c’è nessuna attenzione alla sicurezza. O quanto meno della colpevole negligenza».
Ma è vero che anche i politici vi hanno voltato le spalle, come sostiene il collega di Erto?
«Il rischio c’è. Ma domani (oggi per chi legge, ndr) il Governo sarà rappresentato dal sottosegretario all’interno Candiani, oltre che dai nostri parlamentari e amministratori. Come ogni anno abbiamo invitato anche il presidente della Repubblica. Ma il 9 ottobre Longarone preferisce ricordare i suoi morti nell’intimità. Il 9 ottobre di 55 anni fa è accaduta una tragedia che ha devastato tanti nostri concittadini sopravvissuti».
Che cosa vi ha risposto il Quirinale?
«Non ci ha risposto, quindi è un buon segnale. Se il presidente non arriva, il Quirinale declina formalmente l’invito».
Se il Capo dello Stato viene a Longarone gli direte che da questa e altre tragedie bisogna che finalmente l’Italia impari qualcosa?
«È dal 2003, in occasione del quarantennale, che non viene un presidente. Allora fu Ciampi. Per la prima volta, però, nel 2013 un presidente della Repubblica chiese scusa a nome dello Stato per le responsabilità avute nella tragedia».
Per la verità non lo fece direttamente Napolitano.
«Ma a nome suo lo fece l’allora presidente del Senato, Grasso. Fu un atto importante, dopo 50 anni. Ma chiedere scusa significa, sì, riconoscere le proprie responsabilità, al tempo stesso, però, agire perché non si continui sulla stessa strada».
Infatti.
«Infatti non è accaduto. La tragedia di Genova lo dimostra chiaramente. Proprio oggi, qui a Longarone, le scolaresche riunite insieme hanno avuto modo di ascoltare i testimoni del terremoto dell’Aquila, della strage di Stava, della sciagura colpevole di Viareggio. Un testimone di quest’ultima, Mario Piacentini, ha perso la moglie e due figli. Lui si è ustionato nel 90% del corpo. Ha subito 60 operazioni. Bene, dopo 9 anni il processo non si è concluso. Anche sul piano giudiziario si stanno ripetendo i tempi del Vajont».
Tutte tragedie evitabili, a partire da quella del 1963? «Tutte sì. È vero che i terremoti non si possono prevedere, ma è vero che a L’Aquila si sono riscontrate precise responsabilità nei processi costruttivi. Le stesse che stanno emergendo dopo l’ultimo sisma, in Centro Italia».
Che cosa chiedereste a Mattarella o, comunque, oggi al rappresentante del Governo.
«Un primo atto, dopo le scuse dello Stato, è adoperarsi perché nei libri di storia che si studiano a scuola ci sia almeno una pagina che racconti la verità su quanto accaduto 55 anni fa. Altrimenti come possiamo spiegare la necessità della prevenzione?».
Anche perché, è meglio ripeterlo, non si è trattato di calamità naturali.
«Sì, troppi cominciano a dimenticarlo. Ci sono nomi e cognomi di responsabili, puntualmente seppur tardivamente condannati. Ci sono aziende di Stato che in qualche misura hanno pagato per la loro responsabilità. E, soprattutto, ci sono longaronesi che hanno pagato con la vita dei loro cari questo “disprezzo” appunto per la vita. Il ponte Morandi dimostra plasticamente come, appunto, nulla, proprio nulla si sia imparato da quella notte maledetta del 1963».
Maledetta sì, per i morti, ma anche testimone di una gara di solidarietà senza precedenti.
«È nel Vajont che è nata, di fatto, la Protezione civile. E la nostra comunità, va detto, continua a restituire, secondo le sue possibilità, quanto ha ricevuto». —
Francesco Dal Mas
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