Padrin: «Il Vajont è una ferita aperta ma la nostra comunità sa reagire»

La visita di oggi del presidente della Repubblica nasce dall’invito del sindaco di Longarone e presidente della Provincia, Roberto Padrin.
Padrin, come si è resa possibile la visita di Mattarella nel bellunese?
«Tutti gli anni invito il presidente della Repubblica per il 9 ottobre e nel 2018 avevo proposto un’iniziativa particolare. Purtroppo non c’è stata l’opportunità. Poi a dicembre ho inviato una lettera al Quirinale, invitando il presidente a testimoniare la sua vicinanza ai territori colpiti dall’alluvione. Circa 20 giorni fa il Quirinale ha chiamato per fissare una data in tempi stretti in cui conciliare sia la visita per l’alluvione che l’omaggio al Vajont. È un piacere immenso, ci tenevo tantissimo».
Qual è il sentimento dei longaronesi a oltre 55 anni dal Vajont?
«È una ferita ancora aperta, rimasta sopita per molti anni tra i sopravvissuti e i superstiti che hanno contribuito alla rinascita della comunità di Longarone nel post disastro. Anni in cui Longarone è stato un luogo di grande fervore economico, politico e culturale. Soprattutto economico. La legge Vajont ha fatto sì che si costruisse la più grande zona industriale della provincia, dimostrando che si può trasformare una tragedia in opportunità. Longarone è un esempio per tutti».
Ha mai provato ad immaginare come sarebbe Longarone oggi senza il Vajont?
«Ci ho pensato tante volte. Sicuramente sarebbe un paese bellissimo, con un centro storico e una chiesa di grande pregio estetico. Ma non so quale sarebbe stato il futuro di questo territorio. Forse saremmo più deboli».
Il Vajont è stato per decenni poco conosciuto, poi l’Italia ha ritrovato la memoria.
«Per molti anni i longaronesi hanno mantenuto un silenzio carico di riserbo e ritegno sulla tragedia. Ognuno ha tenuto dentro di sé il dolore, considerandolo personale. Poi qualcosa è cambiato. Fui io stesso ad intervistare il sopravvissuto Renato Migotti nel 1995, poi arrivò Marco Paolini con il suo monologo e quello fu il momento in cui l’Italia iniziò a ricordare. Nel 1999 arrivarono i 77 miliardi del ristoro Montedison e poco dopo il film di Martinelli. Tutto questo ha portato all’esterno l’intimità dei longaronesi, si è capito che per conservare la memoria si doveva raccontare questa storia anche attraverso le esperienze personali».
Anche la visita del presidente Ciampi fu determinante in quel senso.
«Fu il momento più alto. Ero già sindaco ed è stata un’esperienza fortissima che mi ha permesso di far conoscere al mondo una storia universale. Non perché Longarone fosse al centro, ma perché era giusto che il Vajont diventasse patrimonio di tutti. Ecco perché vorrei che il Vajont entrasse nei libri di storia: nelle scuole non si arriva mai a studiare la storia contemporanea, ma per il futuro di tutti noi è necessario far uscire dal silenzio gli eventi che hanno avuto una portata così devastante».
Qual è il significato della visita di Mattarella?
«Testimoniare alle comunità di Longarone, Erto e Casso e Vajont che lo Stato è vicino e non dimentica. La memoria dello Stato può riportare serenità, perché ricostruire non basta. La Longarone di oggi è una comunità costituita da superstiti e sopravvissuti e da persone che sono arrivate molto dopo. Alcuni sono tornati dall’emigrazione all’estero, altri sono arrivati con l’industrializzazione della valle e hanno un rapporto diverso con il Vajont. C’è grande rispetto ma le difficoltà di integrazione non mancano. Tutto questo è il simbolo della rinascita e della bellunesità, fatta di persone che non si abbattono e sono sempre in prima linea. L’alluvione di fine ottobre ha dimostrato ancora una volta la capacità di ripartire di questa comunità».
Cos’è oggi Longarone?
«È un paese industrializzato a disoccupazione zero. Ha una Fiera importantissima, un turismo legato al Vajont, è una porta del Parco nazionale, è un territorio molto legato alla montagna e alla storia. Dopo la fusione Castellavazzo è diventato il centro storico e la comunità è più forte e unita, capace di far fronte alle difficoltà con energia e determinazione».
E qual è il futuro?
«L’alluvione ha rimarcato la fragilità di questo territorio che ha bisogno di interventi strutturali maggiori per garantire la sicurezza delle persone. Diciamo sempre che il Vajont non ha insegnato nulla, ma questa è forse la prima volta in cui la prevenzione c’è stata e si è vista. Le istituzioni hanno fatto scelte responsabili salvando tante vite».
Però non basta.
«I cambiamenti climatici sono una realtà. Chi avrebbe mai pensato che il bellunese sarebbe stato colpito da un uragano? Eppure è successo e ogni anno avvengono situazioni prima impensabili. Servono risorse per la prevenzione».
L’autonomia potrebbe aiutare?
«I territori montani sono più fragili e hanno costi più elevati per tutti i servizi. Solo chi vive in montagna conosce le esigenze e sa come affrontarle. Non mi piacciono i lamenti, ma è così. Il Veneto sta facendo con lo Stato un percorso per l’autonomia che noi sosteniamo e abbiamo rafforzato con il referendum provinciale. Non siamo in contrapposizione, anzi, guardiamo con attenzione a ciò che accadrà per poi ritagliarci il nostro spazio».
Belluno può sembrare un territorio marginale, ma qui ci sono aziende leader al mondo, come possiamo convincerle a restare?
«Vorrei presentare a Mattarella le nostre eccellenze, ne abbiamo tante in diversi settori, non solo gli occhiali. Queste aziende sono un orgoglio nazionale, non solo bellunese, ma qui hanno deciso di insediarsi e senza di loro il nostro territorio sarebbe morto, perché il lavoro è fondamentale. A questi imprenditori va il mio grazie, perché hanno tenuto anche in momenti di crisi e perché non chiedono niente: è nostro dovere garantire loro almeno infrastrutture affidabili e moderne». —
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