Occhialeria in crisi nel Bellunese, salgono le richieste di cassa integrazione
Nel primo semestre 2025 venti aziende del settore hanno chiesto gli ammortizzatori fiscali per un totale di 1.261 lavoratori. Le piccole realtà faticano a resistere

Aumentano le aziende bellunesi dell’occhialeria che, paventando difficoltà di mercato in vista soprattutto dell’autunno, hanno chiesto preventivamente la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali. Si tratta soprattutto di imprese che fanno lavorazioni per le grandi industrie dell’occhiale, le quali, in presenza di un mercato che fatica, stanno magari richiamando al proprio interno le produzioni esternalizzate.
Di fatto, sono 20 le ditte locali che nel primo semestre di quest’anno hanno chiesto la cassa integrazione. E l’hanno fatto per un totale di 1.261 lavoratori dipendenti. Nello stesso periodo del 2024, le imprese erano state solo 12 e soltanto per 368 collaboratori. I dati (di origine Inps) vengono interpretati con preoccupazione perché il 2024 aveva registrare un calo del 25,4% nell’export complessivo in provincia a causa della situazione geopolitica mondiale, mentre rassicuranti erano stati i 3,8 miliardi di euro che l’occhialeria aveva comunque garantito, sempre nelle esportazioni, rappresentando oltre il 75% del valore complessivo.
Il rallentamento
«Siamo entrati in una fase di rallentamento che finora, nel 2025, non si era ancora manifestata in modo così evidente», dice Milena Cesca, segretaria generale della Femca Cisl Belluno Treviso, «Oggi tutti attendono di capire quali saranno le prospettive per la seconda parte dell’anno, dopo la pausa estiva, in un contesto segnato da forti incertezze legate anche a scelte geopolitiche».
Secondo la Femca Cisl, le richieste di cassa integrazione aperte nei mesi scorsi stanno subendo proroghe, segno che la difficoltà non è momentanea.
«Il rallentamento si percepisce chiaramente dall’inizio dell’anno. Ora, per affrontare al meglio la fase conclusiva del 2025, sarà fondamentale aprire un confronto con aziende e associazioni datoriali per avere un quadro chiaro del sentimento e delle prospettive», sottolinea Cesca.
Tra le priorità indicate dalla segretaria generale della categoria c’è la necessità di incontrare quanto prima vertici aziendali e associazioni per valutare l’impatto del rallentamento su imprese e forza-lavoro: «Non possiamo permettere che l’incertezza politica ed economica ricada sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. La situazione richiede responsabilità condivisa».
I più deboli
Particolarmente colpiti sono i fornitori e i terzisti, spesso utilizzati dalle grandi aziende come “polmoni” produttivi: «Molti ordini che un tempo venivano dati in conto terzi oggi sono stati ripresi dalle grandi imprese. Questo ha messo in difficoltà i piccoli fornitori, che non hanno la capacità di ammortizzare i contraccolpi e, specializzati in singole lavorazioni, rischiano di trovarsi in gravi condizioni di sofferenza e di esposizione finanziaria», evidenzia Cesca. Il tessuto produttivo del Bellunese e del Cadore, caratterizzato da una miriade di piccole realtà artigiane e imprenditoriali, appare oggi particolarmente fragile.
«Il tavolo dell’occhialeria a cui aderiscono parti datoriali e sindacali sta lavorando affinché la filiera corta, quindi i player e i loro fornitori locali, trovi un equilibrio che permetta a tutte le realtà aziendali, grandi e piccole, di preservare sostenibilità, professionalità e forza lavoro».
Gianfranco Morra è il segretario provinciale della Filtcem Cgil: «Non siamo però ancora in presenza di una crisi. Non abbiamo grandi industrie che utilizzano la cassa. È vero, invece, che le aziende della filiera corta stanno registrando difficoltà, perché sono in ricomposizione gli equilibri interni al settore. Piuttosto questa è una situazione che ci impone una seria riflessione».
Il panorama
Gli Usa – il mercato più promettente – è stagnante. Quello russo e quello ucraino non sono ricettivi, per motivi comprensibili. La Cina si sta progressivamente arrangiando con i propri marchi.
«Comincia a rappresentare un’alternativa il mercato sudamericano e, per fortuna, sembra tenere quello europeo» osserva Gianfranco Morra, «Il prodotto medicale non ha flessioni; le ha, invece, quello della moda, del lusso in particolare. Bisogna dunque capire come ci si muove rispetto alle possibili alternative. Ecco perché oggi abbiamo un ulteriore buon motivo di sperare nella cessazione dei conflitti».
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