Nomi e gesta di 4.924 partigiani: così Belluno ricorda i suoi eroi

Il lavoro di Franco e Silvia Comin, insieme a Cason e Lotto «Il dizionario racconterà la vita dei protagonisti»
Fabrizio Ruffini

BELLUNO

I nomi e le storie di 4.924 partigiani e patrioti bellunesi recuperati dal fondo documentario Ricompart (Riconoscimento partigiani), custodito all’Archivio centrale dello Stato a Roma, entreranno presto in un grande dizionario biografico, che ne custodirà e ne tramanderà la memoria per le future generazioni.

Il grande lavoro di ricerca storica realizzato da Franco e Silvia Comin, supportati dal sociologo Diego Cason e dalla docente e ricercatrice Adriana Lotto, è alle battute finali e questo vuol dire che la tanto rincorsa opera potrà vedere la luce in un futuro non troppo distante: «Non è facile esprimere in termini numerici la guerra partigiana, ma la raccolta di queste schede personali permette di avere una visione d’insieme della vastità del movimento partigiano», ha spiegato Franco Comin, «alcuni dati sono andati perduti o, molto più spesso, dopo la guerra in molti hanno preferito non ufficializzare il proprio ruolo nella guerra di liberazione».

Questo è uno dei motivi fondamentali per cui il lavoro quasi ultimato dai Comin apre ora la strada a ulteriori studi sull’argomento: «Si tratta di un volume fondamentale per delineare ciò che fu il movimento partigiano nella nostra provincia», ha spiegato Enrico Bacchetti, direttore dell’Isbrec, durante la presentazione online dei risultati della ricerca, «migliaia furono i bellunesi riconosciuti nel dopoguerra come partecipanti alla Resistenza, ma tanti altri non fecero nemmeno richiesta di essere inseriti in questo elenco per vari motivi, permettendo al tempo di cancellare le loro storie. È proprio questo, però, che ci dà lo spunto per ricercare futuri approfondimenti e integrazioni all’opera».

Al fianco di Comin padre e figlia ci sono stati l’Isbrec, il Comune di Belluno e la sezione Anpi locale: «Anpi Belluno è entrata fin dall’inizio in questo progetto di ricerca per permettere l’accredito all’Archivio centrale», spiega il presidente, Gino Sperandio, «questo è un lavoro importantissimo, perché fa emergere tante storie di persone che spesso hanno lasciato cadere nell’oblio le loro vicende personali a causa delle tante ondate di revisionismo portate avanti già dagli anni ’50 sul ruolo dei partigiani, basti pensare al figlio del partigiano Ciro (impiccato in piazza Campedel), che seppe solo pochi anni fa dove morì il padre».

La ricerca ha messo in luce anche l’urgenza di digitalizzare al più presto i supporti sui quali furono annotati i dati dei resistenti: «Abbiamo pochi anni ancora per digitalizzare molto del materiale analizzato, perché spesso scritto su veline o altri supporti leggeri», avverte Diego Cason, «questo dizionario è un passo importante, ma rendere i materiali disponibili a tutti i futuri storici permetterebbe di andare avanti con il lavoro».

Oltre ai partigiani che operarono in provincia, vengono tracciate le storie anche dei bellunesi che presero parte alla Resistenza altrove: «Tutto il Bellunese fu coinvolto nella guerra di liberazione», continua Cason, «ma ci sono stati partigiani bellunesi anche in altre parti d’Italia e nei Balcani. La ricerca è stata lunga e per di più ritardata dal fatto che abbiamo voluto sottoporre tutti i dati raccolti agli uffici anagrafe dei vari Comuni di residenza dei partigiani, in questo modo abbiamo corretto circa il 30% dei profili, che spesso all’epoca venivano trascritti con errori. E ora che ci mancano solo due Comuni all’appello, possiamo dire di aver quasi concluso». —



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi