Neonata morta ad Oderzo, la ginecologa va a processo
ODERZO. Agata Maria era morta all’ospedale di Treviso tre giorni dopo essere venuta al mondo ad Oderzo. Ora, per quella tragedia, la Procura di Treviso ha chiesto il processo per la ginecologa di turno nell’ospedale quella drammatica sera di luglio del 2016, Maria Grazia De Rita, accusata di omicidio e lesioni colpose.
Il sostituto procuratore De Bortoli, che aveva messo sotto inchiesta dieci tra medici e ostetriche degli ospedali di Oderzo e Treviso, ha chiesto archiviazioni per tutti tranne che per la ginecologa. Decisiva in questo senso la relazione dell’anatomopatologo Antonello Cirnelli che, in sostanza, ha stabilito che nonostante il ritardo con cui le ostetriche hanno chiamato la ginecologa, non è detto che questo ritardo abbia influito sulla morte della neonata, figlia di una coppia di bellunesi rappresentati dall’avvocato Giuseppe Triolo. Per quanto riguarda la dottoressa, le viene contestato di non aver praticato un cesareo ma di aver utilizzato la ventosa, che non solo non è stata efficace, ma ha provocato ulteriori danni alla mamma.
I fatti risalgono al luglio del 2016. La donna era arrivata all’ospedale con forti dolori addominali. Nel reparto di Ostetricia e Ginecologia, l’avevano tranquillizzata, rimandandola a casa. Il giorno dopo si è ripresentata con gli spasmi e stavolta era stata ricoverata. Grande sofferenza per lei e la bimba. Durante la fase del travaglio, si verifica la rottura dell’utero. Nel fare le manovre di espulsione e favorire il parto naturale, accade qualcosa: «Se la rottura dell’utero non è immediatamente visibile, è possibile rendersi conto della sofferenza del feto, guardando il tracciato del monitor», ha scritto il perito. Fino alle 22, la situazione può essere ancora considerata recuperabile, ma già tre minuti dopo nella mamma subentra una grave tachicardia: «Quando si sono accorti che c’erano dei problemi, avrebbero dovuto portarla subito in sala parto, per fare un cesareo. Ci sarebbe voluto un intervento medico. Le ostetriche avrebbero dovuto considerare che si trattava di un travaglio ad alto rischio e allertarsi immediatamente. Tanto più che, alle 22.20, il tracciato del monitor diventa drammatico, a quel punto il medico avrebbe già dovuto essere in sala parto. Invece viene chiamato alle 22. 32 e arriva alle 22. 34», si legge nella relazione.
«L’operato dei sanitari appare censurabile per due motivi: ritardo nell’allerta del medico di guardia da parte delle ostetriche; scelta da parte del medico della ventosa, che è risultata inefficace, anzi ha provocato dei danni» conclude il perito.
Giorgio Barbieri
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