«Nel Dopoguerra recuperare era un lavoro»

I ricordi di Damiano Rech, che conosceva Fiorenzo: «Disinnescava granate per renderle innocue»
SEREN DEL GRAPPA. Damiano Rech è una delle memorie storiche della Valle di Seren e del Monte Grappa, noché funzionario per decenni di un’associazione del mondo agricolo.


Conosceva bene Fiorenzo Pasa e con lui, ancora prima dell’incidente avvenuto nel dicembre del 2012, ha condiviso alcune uscite alla ricerca di residuati bellici della Grande guerra: «Avevamo l’autorizzazione della Regione Veneto e del Comune di Seren in qualità di proprietario del territorio sul versante nord del Massiccio del Grappa», racconta Rech, «Fiorenzo aveva prestato servizio nei carabinieri come artificiere. Quando cerchi reperti nel sottosuolo ti senti come un archeologo, se poi riesci a disinnescare il proiettile, sei spinto a mettere le mani su granate sulle quali magari altri non hanno voluto provare. Fiorenzo era esperto e lo faceva. La sua morte mi ha profondamente commosso».


Anche lei ha fatto il recuperante?


«Nel periodo tra il 1948 e il 1960 io stesso ho provato l’emozione nella ricerca e nel disinnescare. Se sono ancora vivo», aggiunge Rech, «lo devo a un casaro occupato nella Malga Bocchette gestito dalla mia famiglia, il quale mi aveva visto e temeva anche per la sua vita. E poi ho vissuto l’esperienza di vedere un ragazzo dodicenne dilaniato, trasportato da un mio fratello all’ospedale di Feltre, ma deceduto appena giunto. Conoscevo Guendalina, 15 anni, che affaticata nel trasportare al casolare una granata, nel lasciarla cadere scoppiò e ferita all’addome, moriva dopo otto giorni. Questo è ciò che ho visto con i miei occhi, ma la casistica degli incidenti è purtroppo molto lunga nella zona di Seren».


C’era gente che sopravviveva con questo “lavoro”?


«Sì, fino agli anni 60. Nella malga, ogni sera, i recuperanti meno esperti ci portavano il ferro raccolto in superficie, veniva pesato e pagato 40 lire al chilo e le ditte Zago di Alano, Casarin di Feltre a Zanusso di Crespano venivano a prenderlo. Una granata calibro 210, disinnescata, pesa quasi un quintale. Voleva dire 4.000 lire. A quei tempi tutto il territorio del Massiccio pullulava, non solo di migliaia di vacche, ma anche di centinaia di recuperanti e poi dovevano recuperare proiettili, che spesso venivano disinnescati sul posto a colpi di mazza o fatti brillare nelle gallerie per voi vendere l’acciaio. Ricordo che poi Dalla Marta produceva degli eccellenti attrezzi per il bosco. Poi il ferro cominciò a perdere valore e in poco tempo recuperanti e valligiani abbandonarono la montagna».


Pasa che tipo di recuperante rappresentava?


«Quello moderno, che va alla ricerca, per hobby, per pura passione. Era una persona esperta. Ancor prima dell'incidente del 2012», ricorda ancora Damiano Rech, «acquistò un metal detector, insieme ad altre cinque, sei persone. Con quello strumento si individuano i reperti fino a una profondità di 40 centimetri. Così, mi chiese di acquistargliene un secondo, più efficace in profondità. Lui disinnescava le granate per il gusto di renderle innocue».


Non tutti gli ordigni sono ugualmente pericolosi.


«Le granate di artiglieria più pericolose sono quelle piccole, come il calibro 75/13, specialmente quelle austroungariche, che avevano la spoletta sul fondello (e hanno, perché si trovano ancora nei boschi). Mentre, paradossalmente, le più grandi, come il 210 o il 305 italiane, si disinnescano a colpi di mazza, fino a quando si svita la spoletta che contiene il detonatore. Ma la prudenza non è mai troppa. Ho visto troppa gente morire o rimanere gravemente invalida».
(r.c.)


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