Manolo e Corona per i novant'anni di Rolly Marchi

A sinistra Rolly Marchi In alto Manolo e Corona Qui sopra Messner
A sinistra Rolly Marchi In alto Manolo e Corona Qui sopra Messner
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er Rolly Marchi (che non ha certo bisogno di presentazione) il più grande alpinista di tutti i tempi è Reinhold Messner. Sarà un caso che la moglie di Rolly insieme alla moglie di Sandro Buzzatti siano state, qualche giorno fa, in cima al monte Rite, dove hanno incontrato il "re degli ottomila" e si sono complimentate con lui, alla presenza del cronista indiscreto? Sì, è solo un caso. Perché Marchi è stato anche compagno d'avventura di Messner.
 L'altra sera, all'Audipalace di Cortina ha svelato un segreto: di un "amplesso", così l'ha definito, cercato da un'alpinista a 6 mila metri di quota. Per Mauro Corona - un altro degli invitati all'appuntamento serale di "Cortinaincontra" - i grandi dell'alpinismo sono tre: Paul Preuss, Angelo Di Bona e Maurizio Zanolla, in arte Manolo, campionissimo di free climber. Zanolla era anche lui tra gli invitati al tavolo di Marino Bartoletti e Nicoletta Ricca Benedettini, i moderatori, insieme al chitarrista Pietruccio Montalberti, leader dei Dik Dik. Anzi, secondo Corona Di Bona è stato "il massimo"; peccato soltanto - ha chiosato, con una punta di polemica ironia - che non abbia "massimizzato messneriamente". Cioè che non abbia fatto i soldi e che sia morto negli stenti. Manolo, invece? Anche a Cortina si è manifestato per quel campione di umiltà che è nella vita, tanto quanto - ha riconosciuto - «sono stato arrogante nella mia gioventù, quando ho iniziato a scalare, in assoluta libertà», infischiandose dei consigli dei compagni di cordato.  Compagni che Maurizio ha evocato, riconoscendoli, per questi singolari meriti, come i "campionissimi" dell'alpinismo. Manolo, in sostanza, ha spiegato le sue imprese come una disobbedienza continua a quelle che, all'epoca, venivano considerate le regole dell'alpinismo, per cui lui stesso ha detto di non considerarsi un alpinista classico, tanto da ammettere di aver provato a scalare un ottomila, insieme a degli amici, ma di aver rinunciato presto alla salita, perché «eravamo tutti impreparati». Atteso dalla platea per le sue provocazioni, Corona si è invece 'trattenuto' in casa Cisnetto, raccontando molto sobriamente di se stesso. Precisando che nel caso del Vajont la montagna non ha nessuna colpa, quindi non si può chiamare neppure "maledetta", perché la responsabilità, in quella tragicissima vicenda, è stata dell'"Al Qaeda" del tempo che "ha lanciato i missili contro il monte Toc".  Corona ha pure rammentato che lui non ha cominciato a scalare la montagna "per passione", ma solo per sopravvivere, ovvero per cercar da mangiare. Ed ha fatto memoria della prima salita, a 13 anni, con il fratello che ne aveva 12, sul monte Duranno, mentre faceva il pastore in una malga del posto. Si è poi soffermato sull'ultimo libro "La ballata della donna ertana", ammettendo di non averlo scritto per vendere, perché "è troppo crudo". «Un giorno Erri De Luca mi disse: perché non scrivi nel tuo dialetto? Ed ecco questo libro, in lingua ertana, con accanto la traduzione in italiano, per altro mal riuscita in taluni passaggi. E' un libro che non ho scritto per vendere. Negli altri, invece, anch'io mi sono affidato a qualche furbizia...».  Corona ha poi svelato un segreto. Vuol cimentarsi in un volume di bugie, una per alpinista, "la prima mi riguarderà direttamente", "ma temo - ha confessato Mauro - che sarà un fallimento, perché nessuno vorrà mettersi in gioco con una bugia". Marchi, 90 anni, ha dilettato la sala col racconto, fra l'altro, di alcuni "accompagnamenti" in montagna, magari lungo le piste da sci, a cominciare dall'ex presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford. E ancora una volta ha dato prova di una estrema vivacità.

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