Mamma Jamila: «Fabio sarà assolto»
Dal 17 luglio vive ad Amburgo per aiutare il figlio, incarcerato dopo gli scontri per il G20: «Non ci sono prove a suo carico»

FELTRE. «Volevano una sua confessione. O meglio, una credibile assunzione di colpa. A quel punto, sarebbe arrivata una condanna con la condizionale. Una rapida condanna, e Fabio avrebbe potuto tornare a casa».
Si chiama Jamila «perché ai miei genitori piaceva moltissimo la letteratura araba, e lì il mio nome è comunissimo». È una donna tenace. Non ama rilasciare interviste, ma sa che tenere alta l’attenzione sul caso di suo figlio è fondamentale, e il Corriere delle Alpi le è sempre stato accanto. È la madre di Fabio Vettorel, il diciottenne feltrino in carcere preventivo ad Amburgo da quattro mesi. Accusato di disordini e scontri cui non ha partecipato, ma “era lì” e questo sembra bastare alla procura.
Jamila Baroni vive ad Amburgo dal 17 luglio. È una libera professionista, si occupa di certificazioni ISO facendo la spola tra Bologna e Belluno. Adesso ha un solo pensiero: tirare Fabio fuori di lì. «Posso andare a trovarlo in carcere tre volte al mese, un’ora e venti di colloquio per volta. Lui può chiamare solo me e suo padre. Il cellulare gliel’hanno messo subito sotto sequestro, ma ha diritto a una scheda telefonica. Sono 120 minuti di conversazioni al mese».
Sette luglio. Una vita fa, se conti i giorni da detenuto e hai solo diciott’anni.
«Fabio era partito per Amburgo assieme a Maria Rocco. Si conoscono da due o tre anni, sono amici. La madre di lei li aveva accompagnati in aeroporto a Treviso. Sono saliti su un volo Ryan e arrivati la sera di quel giovedì. Li hanno arrestati alle sei e mezzo del mattino del giorno dopo».
Come lo ha saputo?
«Un messaggio in segreteria telefonica, in inglese. “Don’t worry”, rassicurava qualcuno che era stato incaricato da Fabio. Erano le 13 di quel giorno».
Suo figlio l’aveva messa nel conto?
«Che potesse essere fermato, questo sì. Sono cose che accadono, quando vai a manifestare. Anche se lo fai pacificamente. Avrebbero potuto trattenerlo per poi rilasciarlo dopo 48 ore, a G20 concluso. L’assurdo, quello è venuto tutto dopo».
Voi sapevate che sarebbe andato al G20?
«Certo. Ed eravamo d’accordo».
Fabio è cresciuto nel brodo culturale dell’antagonismo di sinistra?
«No, niente affatto. Non siamo militanti. Ma siamo impegnati, questo sì. E sappiamo che ogni scelta, alla fine dei conti, è politica. Condividiamo certi ideali».
E suo figlio, cos’è? Un pericoloso sovversivo, un sognatore, un aspirante black bloc, un idealista, un no global?
«Un idealista».
Un giudice ha parlato di carenze educative. E l’ha messo giù nero su bianco…
«È stata una delle tante cose assurde di questa vicenda. Se è per questo, lo ha anche definito come un personaggio pericoloso. Quanta rabbia, mi è venuta…».
C’è chi dice che il giudice abbia scritto quelle cose, perché altrimenti avrebbe dovuto scarcerarlo. Un modo tranchant di giustificare la mancata remissione in libertà.
«Sì, lo so. Ma il giudice, quel giudice, Fabio non l’aveva neppure visto: come faceva a scrivere quelle cose? Né c’era stata alcuna perizia psicologica o comportamentale».
La vostra difesa ha cercato di ricusare la donna che presiede il collegio (un giudice togato e due popolari) perché in una fase del procedimento aveva dichiarato che Fabio sarebbe stato quasi certamente condannato. E non era neppure iniziato il processo…
«Sì, è così. Eppure, la ricusazione è stata respinta. Nessun pre-giudizio. E l’istanza non è stata accolta».
Come ha retto suo figlio a questi quattro mesi di carcerazione?
«Tutto sommato bene. C’è stato un momento difficile a inizio agosto, quando non ce l’hanno fatto vedere per tre settimane e anche la posta gli arrivava con grande ritardo. Un inasprimento per motivi mai chiariti. Controllavano tutto, sperando di trovare chissà cosa. Pare che abbiano persino usato più traduttori simultaneamente».
Stavate per ottenere il rilascio dietro cauzione.
«Sì, ma la procura si è opposta. E vuole sapere cosa è venuto fuori, anche se in modo del tutto ufficioso? Che secondo loro, gli italiani sono poveri e, dunque, noi non avremmo mai potuto trovare i 10 mila euro chiesti per la cauzione. Quindi, in definitiva, i soldi per la sua liberazione sarebbero stati tirati fuori da chissà quali gruppi eversivi. Capisce?».
C’è stato anche un discreto turnover di pubblici ministeri…
«Ne abbiamo già cambiati tre. Praticamente, uno per ciascuna udienza».
Perché tutto questo, Jamila?
«Non lo so, davvero».
Suo figlio in carcere da quattro mesi per “essere stato lì”. E i professionisti della guerriglia urbana, quelli che hanno cercato di mettere Amburgo a ferro e fuoco?
«Quelli non li hanno mai fermati, e infatti ci sono ancora grosse polemiche. Perché la polizia, lì non c’era. Pare abbiano detto che intervenire sarebbe stato troppo pericoloso. I filmati, se ci fate caso, sono di antagonisti o passanti, non della polizia. Eppure, gli agenti erano in 31 mila…».
I video girati dalla polizia stessa mostrano uno scenario difficilmente inquadrabile nella classica guerriglia urbana.
«Hanno per così dire censito il lancio di 14 pietre e quattro fumogeni, da parte di quel gruppo di manifestanti, prima che venissero caricati».
E Fabio?
«Fabio era lì, appunto. Questa la sua colpa, in buona sostanza».
Presente con coscienza e partecipazione, dice l’atto d’accusa. Non ha fatto nulla ma era d’accordo, insomma.
«Sì, questo sostengono».
Oggi e domani, due nuove udienze. Cosa accadrà?
«Non so davvero cosa aspettarmi, ormai. Sono previsti sette poliziotti come testi dell’accusa. Il primo, sentito la volta precedente, è stato del tutto irrilevante. Temo andrà per le lunghe».
Come finirà?
«Io credo che sarà assolto, perché non ci sono prove a suo carico. Ma se anche venisse condannato, dovrebbero comunque concedergli la condizionale. Anche perché la carcerazione dei minorenni si applica solo per casi gravissimi”.».
Sapeva che avrebbe letto un suo manifesto politico, in aula?
«Sì. In realtà non lo ha letto, lo ha recitato. Era lungo, sì, ma lo aveva imparato a memoria. Del resto, quando sei in galera, il tempo non ti manca…».
Maria Rocco si è di fatto dissociata e ha ottenuto la scarcerazione in attesa di processo. Suo figlio, duro e puro, si è ficcato in un cul de sac.
«Lui ha espresso le sue convinzioni politiche, senza rinnegarle. È forse un reato, questo? Guardi che gli hanno negato la scarcerazione anche perché ha dimostrato così tanto amore per la sua terra, la Heimat direbbero qui, da convincerli che ben difficilmente sarebbe tornato per il processo, una volta rientrato in Italia».
Cosa troverà Fabio nella sua Feltre, quando tornerà a casa?
«Tanti amici. E il suo lavoro, spero».
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