L’amicizia con Massarioto, contadino alfiere della morale

Durante la stagione veneziana, Giuseppe Sarto si lega a una singolare figura di contadino-scrittore di Salzano, Illuminato Checchini, il cui figlio primogenito sposerà una nipote del futuro Papa. Quasi tutti lo conoscono peraltro con lo pseudonimo con cui ama firmarsi, paròn Stefano Massarioto. Quel termine dialettale, “massarioto”, è riferito ai coloni che coltivano in affitto o a mezzadrìa un certo numero di campi.
Le sue attività sono poliedriche. Organizza associazioni cattoliche, pubblica lunari in dialetto, fa il giornalista per “La Vita del Popolo”, il settimanale della diocesi di Treviso, ricorrendo a una lingua rustica ma incisiva, in dialetto, e affrontando i problemi della vita quotidiana nelle campagne.
Arguto, bonario, buon parlatore (e altrettanto buon bevitore), “paron Stefano” critica il mondo politico e lo Stato (guidato da “il re di Talja”), contesta il modo di vita delle città con le novità moderniste, si professa ignorante e plebeo. Difende la centralità della parrocchia, l’associazionismo locale e lo stile di vita della campagna, in opposizione alle consuetudini urbane e alla cultura “alta” simboleggiata in particolare dall’università di Padova. A chi gli contesta l’uso del dialetto, e uno stile popolare che spesso fa a pugni con la grammatica e la sintassi, risponde: “Mi scrivo par le stale e no par i gabineti de le dame”.
Il suo ideale politico è un mondo chiuso dove non esistono contrasti tra ricchi e poveri, perché tutti sono soggetti a Dio e alla Chiesa: un mondo nel segno dell’ordine, del “galantomenismo”, del rispetto verso l’autorità, del timor di Dio. Per questo si erige a difensore di una campagna che vede a rischio di contaminazione a opera di “framagnoni, ebrei, avvocati” che sono andati a studiare a Padova, e lì hanno smarrito i buoni costumi della loro infanzia.
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi