«La paura del cambiamento limita la competitività»

BELLUNO. «Dobbiamo tenere ben presente che, per quanto la recessione sia finita (tecnicamente parlando), i suoi effetti continuano a manifestarsi in pieno: soprattutto sul piano della selezione competitiva». Parole del presidente della Camera di commercio Mario Pozza, che porta ad esempio l’immagine della clessidra. «Il dato medio che leggiamo tramite le statistiche è in realtà il fragile punto d’incontro fra tendenze opposte e sempre più divaricate in questo scenario post-crisi. La crescita è debole e piatta: in realtà, per alcune imprese va bene (e va bene, non in modo fortuito, ma perché per tempo hanno investito, modificando i modelli di business e dandosi risposte su tempi e visioni “lunghe”), altre galleggiano sperando che “tutto resti come prima”, altre ancora vanno male».
Allora ci si chiede come spingere il sistema economico verso la parte alta della clessidra? «Questa gestione effettiva della discontinuità è ciò che segna i destini delle imprese che la praticano, cambia i posizionamenti di mercato e permette di assumere in tempi di crisi, quando molti altri licenziano. Come tratto comune poggia su una stretta correlazione fra strategie di lungo periodo (e relativa assunzione di rischi), innovazione e investimenti in capitale umano: sia nell’industria, sia nei nuovi modelli di ricettività e di consumo», ha detto riferendosi al turismo che caratterizza l’economia bellunese.
Strategie di lungo periodo significa, per il presidente camerale, «comprendere che occorre rimettere in discussione tutto e di continuo, perché non è più possibile vivere di rendita. Questo fa la differenza, a parità di condizioni competitive esterne».
Anche il lavoro non deve sentirsi estraneo a questa discontinuità. «Cambiano i ruoli nelle organizzazioni a velocità inaudite. I titoli di studio non sono più abilitanti come un tempo a una certa professione. E nelle imprese che assumono, stando nella parte “alta” della clessidra, spesso si registrano non solo casi di deficit di competenza, ma casi più gravi di “deficit di disponibilità”: ad imparare, a reggere ruoli complessi, a gestire ad esempio la componente della “relazionalità”».
E da ultimo a frenare la ripresa c’è anche la «paura di cambiare. Che nel presente è conservazione, ma nel futuro non può che diventare cambiamento subìto: dove tutti perdono».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi