Insulta la Finanza sul web ma il giudice lo assolve

CORTINA. Insulti alla Finanza sul social. In particolare, al maggiore Leonardo Landi, che nel 2015 era a capo della Compagnia di Cortina. Frasi pesantissime pubblicate sul profilo Facebook di un’altra persona, che avevano portato in tribunale per diffamazione aggravata il negoziante ampezzano Giorgio Marchesini. L’uomo è stato assolto in abbreviato dal giudice Cittolin per non aver commesso il fatto: è quanto aveva chiesto il difensore Mecenero, sulla base della sentenza della Cassazione dello scorso 5 febbraio, secondo la quale nella diffamazione sulla rete occorre verificare l’indirizzo Ip di provenienza.
L’Ip è il codice numerico assegnato in esclusiva ad ogni dispositivo elettronico, all'atto della connessione da una certa postazione, dal servizio telefonico, per individuare il titolare della linea. Il pubblico ministero Gulli aveva chiesto quattro mesi di reclusione e 800 euro di multa. Secondo l’accusa, tre anni fa Marchesini aveva condiviso un link dal titolo “Fisco, controlli a senso unico: le cifre dello scandalo” e pubblicato sul profilo Facebook di un certo Jean Paul Voyat frasi offensive irripetibili, a partire dal fatto che nel 2012 la Guardia di finanza gli aveva verbalizzato 960 mila euro, dopo due anni di indagini «la stessa cifra contestata a Galan per il Mose, per intenderci, per una bottega di 50 metri quadri che affitta sci».
Il verbale era stato ridotto due volte e alla fine, di fronte alla commissione tributaria, l’uomo si era sentito dite che non doveva nulla: «Chi mi ripaga ora?» si era chiesto. In un altro post, due insulti a Landi e anche un paio di illazioni, sul piano professionale e personale, prima di considerare che le fiamme gialle sarebbero forti con i deboli e deboli con i forti, ma detto in parole più povere. Per chiudere, qualche considerazione anche sull’Italia «un paese allo sfascio, posto che la corruzione è ovunque, basta leggere cosa succede in Danimarca, ma l’Idaglia (scritto proprio così, ndr) è alla stregua del Congo».
Era stato l’allora procuratore Francesco Saverio Pavone a condurre le indagini, dopo la querela dell’ottobre 2015 e ad arrivare a Marchesini. L’ipotesi di reato era quella di diffamazione aggravata dal fatto di aver attribuito alla persona offesa fatti lesivi della pubblica funzione svolta. La difesa dell’imputato ha puntato su un rito abbreviato, nel quale non dovevano essere sentiti testimoni, ma tutto si è concentrato sul fascicolo del pubblico ministero. Quest’ultimo ha discusso e chiesto la condanna, mentre la controparte ha puntato sul recente pronunciamento della Corte di Cassazione, per incassare una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.
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