Imprese e drammi, la montagna raccontata da Marco Confortola

FELTRE. Ha emozionato il pubblico perché ha saputo trasmettere entusiasmo per la montagna, quella a ottomila metri, senza nascondere il dolore per la perdita di compagni di cordata e la rinascita al progetto di vita, anche se il congelamento gli ha portato via tutte le dita dei piedi. Marco Confortola, alpinista da ventotto anni (lui è del 1971), guida alpina e elisoccorritore con il baricentrico (il sistema aereo che mette in sicurezza gli alpinisti sulle crode inaccessibili), ha raccontato tutto di sé, l’altra sera quando è stato invitato, come ospite d’onore, dal Rotary club di Feltre su input della presidente Carla Benedetta Pontil e dai fratelli Cremonese, di cui l’alpinista valtellinese è prestigioso testimonial.
Con lui c’era anche Soro Dorotei, leggenda dell’alpinismo italiano. Confortola ha parlato di gioie e di dolori: la possibilità di contribuire alla realizzazione di una scuola per duecento bambini in Nepal dopo il devastante terremoto di qualche anno fa. E la necessità di salvarsi la vita, quando si è verificato il crollo di un saracco sul K2, per mettersi in sicurezza prima che l’ipossia (mancanza di ossigeno al cervello) potesse provocarne la morte, come ai suoi undici compagni di cordata.
Cosa che lo ha esposto a critiche e polemiche su una presunta omissione di soccorso. «Tutti hanno parlato e criticato, ma nessuno di questi ha davvero cognizione di cosa significhi la consapevolezza di morire a ottomila metri. Chi ne ha consapevolezza ed esperienza, sa che non c’è alternativa alla corsa disperata verso il campo base, per non ingrossare la fila di chi non può farcela, nonostante tutti i tentativi di soccorso. Solo chi riconosce i segnali che manda l’organismo e che ti dice di essere allo stremo, deve compiere l’ultimo gesto che gli è possibile, salvare la pelle». Lui, la pelle l’ha salvata. Ma a che prezzo.
Nel filmato che ha mostrato ai presenti, fra cui rappresentanze del Cai feltrino e del Soccorso alpino provinciale, ha fatto vedere i dieci percorsi intrapresi sulle vette più alte del mondo.
Ma non ha risparmiato la visione dei suoi piedi, con le dita in gangrena che gli sono state amputate a Padova, quando ha potuto far ritorno in Italia. «Mi avevano detto “non potrai più camminare, hai bisogno di un sostegno psicologico”», ha detto Corfortola. «Tutte balle. Sono andato avanti per mesi, tribolando, per mesi ho indossato delle ginocchiere perché lo smembramento dei miei piedi che si sono rimpiccioliti a 35 centimetri dai 43 di prima, mi hanno portato problemi di equilibrio per cui cadevo in avanti. Con pazienza e determinazione e una buona dose di sofferenza, adesso cammino, scio, continuo ad andare in montagna. Ed è quello che insegno ai giovani: mai mollare, nemmeno quando ti fanno credere di non avere prospettive. Avanti, ragazzi. Sempre avanti». (l.m.)
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