«Il servizio militare era una dura scuola di vita»
Dal Borgo (Ana Belluno) ricorda con orgoglio gli anni nella “Cadore” «Rappresentava la nostra storia ed era un baluardo sociale delle Dolomiti»

La parata in occasione dell'adunata della brigata cadore a Belluno
BELLUNO. «Per combattere il bullismo non c’è che una soluzione: ripristinare la naja».
Parole di Angelo Dal Borgo, presidente della sezione Ana di Belluno. Per la verità – proviamo ad obiettargli –, anche lei, magari, ha fatto il “bulo” in caserma. «No, io, come altri, mi sono trovato spesso nella condizione di fare il “cubo” al mio anziano, a pulirgli le scarpe. Ma la naja, all’epoca, era una scuola di vita. Perfino quando mi lanciavano tra i muli e raccoglievo pedate indicibili».
Dal Borgo ha 78 anni, ha fatto il militare per 18 mesi tra il 1961 e il 1962, prima al car di Verona, poi alla Brigata Cadore di Belluno, infine al Gruppo Agordo di Feltre. In questi giorni è l’anima del raduno della sua brigata.
Per sua sfortuna, ha fatto il conducente di muli?
«No, facevo il radiofonista, ma ai campi sia invernali che estivi mi accompagnavo ai muli. E questa è stata una fortuna: la loro fedeltà, infatti, è “sacra».
Ma quanti calci ha ricevuto?
«Lasciamo perdere. Mi lasci ricordare, invece, quella salita alla Forcella Piccola sopra San Vito di Cadore. Stavamo svolgendo un campo estivo. Quell’arrampicata sui ghiaioni e sulle rocce ci sembrava impossibile a noi alpini; dovevamo portare in quota una batteria al completo. Dopo 56 anni ho ancora vivo il ricordo dei poveri muli che salivano guardandosi ora a destra, ora a sinistra, dimostrando un’eccezionale intelligenza che li portava alla prudenza.
Nessun incidente?
«Ricordando Cavillo mi vengono ancora le lacrime agli occhi. Era un mulo un po’ fragile. Cadde lungo un dirupo. Lo trovammo morto. Quando raggiungemmo la forcella gli rendemmo gli onori militari con le lacrime agli occhi. “Siete degli eroi”, ci rincuorò il comandante, “ma adesso, tutti avanti”. Scendemmo ad Auronzo» .
E questa è la naja che lei vorrebbe ripristinare come scuola di vita?
«Oggi i ragazzi si sfidano nelle forme violente che sappiamo. A scuola basta che un professore assegni un’insufficienza perché ci sia la rivolta. Se ammicchi alla morosa del tuo amico, rischi perfino la vita. Non era forse meglio il servizio militare, quando eri costretto a rispondere signorsì al superiore che ti imponeva, magari, di pulire i cessi?».
Lei ha mai rischiato la Cpr, la camera di punizione?
«No, io ero uno disciplinato, ma anche la Cpr con quel suo tavolo su cui si era costretti a dormire, aveva un senso educativo. La temevamo soprattutto perché i giorni di punizione venivano aggiunti al periodo di leva».
Che cosa si è perso con la chiusura della brigata Cadore?
«Abbiamo perso la nostra storia, la nostra identità, un pezzo di vita, il più formativo. E le Dolomiti hanno perso un baluardo sociale. Non c’era emergenza, piccola o grande che fosse, dove non intervenissero gli alpini».
Siete stati gli angeli del Vajont. Lei c’era?
«No, mi trovavo a Treviso. Sono rientrato e tra ponte nelle Alpi e Soverzene ho visto l’inferno. Ho cominciato a raccogliere morti, ma quando lo sguardo è finito sul corpo di una bambina di dieci, forse undici anni, un corpo nudo e straziato da pezzi di legno che lo trapassavano, mi sono sentito male e ho dovuto allontanarmi. Ho incontrato Silvio Tesa, il mio “vecchio” di naja a cui facevo il “cubo” . Sotto l’ascella proteggeva, come un tesoro, due vecchi scarponi. È l’unica cosa che mi è rimasta al mondo, mi disse».
La naja civile, magari nella protezione civile, lei la vedrebbe utile?
«Noi abbiamo centinaia di volontari impegnati nella protezione civile, ma sarebbe benvenuta una leva che preparasse i giovani a questo servizio. In 6-8 mesi di nuova leva si imparerebbero tante cose necessarie per rispettare l’ambiente, soprattutto quando è delicato come quassù in montagna».
Qual è il ricordo più brutto che conserva della sua naja?
«Quando a Soranzen, d’inverno, caddi su una strada di ghiaccio, sbattei la guancia e sull’altra mi cadde addosso la grossa radio che portavo. Maledissi il mondo, tanto era il dolore che provavo. Dal Borgo, su e avanti, mi intimò il comandante. Io ovviamente... obbedii. Questa era la naja» .
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