Il rifugista Soraruf guarito dal virus: «Ho avuto paura»

A Passo Fedaia gestisce l’albergo-rifugio Castiglioni e lassù, ai 3300 metri del massiccio, la Capanna Penia: «Noi siamo già al lavoro, ma di qui non passa nessuno»

ROCCA PIETORE

Dopo la neve, la pioggia, quindi nessun apporto al ghiacciaio della Marmolada. «Ricordo, quando sono salito a nove anni, che per raggiungere la cima di Punta Penia si doveva scendere per una trentina di metri dalla schiena del ghiacciaio. La calotta era allora di 50 metri circa, oggi arriva, a malapena, a 9 metri».

Chi parla è Aurelio Soraruf, che a Passo Fedaia gestisce l’albergo-rifugio Castiglioni e lassù, ai 3300 metri del massiccio, la Capanna Penia.

In quanti anni si consumerà questo ghiacciaio?

«In 15 anni, forse 20. Resterà probabilmente un nevaio nella conca di Punta Penia».

Lei ha fatto una settimana d’ospedale a Rovereto e poi un mese di quarantena in rifugio. È riuscito veramente a rimanere isolato?

«Sì. I familiari mi lasciavano il pranzo e la cena sulla porta. Ma io ho fatto una quarantena da far invidia: dalla finestra vedevo il ghiacciaio della Marmolada. E quelli erano giorni serenissimi, seppur tristissimi».

Tristi sì, ma lei adesso è qui a raccontarli.

«Nella camera d’ospedale eravamo in quattro, due purtroppo non ce l’hanno fatta, tra cui un ragazzo di 28 anni. Non lo dimenticherò mai. Come non riuscirò a liberarmi la memoria di quella notte da incubo in cui l’ambulanza venne alle due dopo mezzanotte, a recuperarmi quassù a 2000 metri, per portarmi in ospedale. Me la sono vista brutta anche nei giorni successivi, quando non riuscivo a respirare e i medici mi dicevano: non abbiamo medicine specifiche per curarla, se vuole, proviamo con queste…».

Meglio in rifugio, dunque.

«Senz’altro sì. Medici ed infermieri, però, sono stati eccezionali. In rifugio mi telefonavano due volte al giorno».

Quando riaprirà il Castiglioni?

«Il bar è già attivo, ma qui non passa quasi nessuno. Aspettiamo i turisti. Intanto abbiamo preparato il ristorante con il plexiglass. Immagino che dal 15 giugno saremo tutti pronti. Per Capanna Penia, invece, andiamo a fine mese».

Quanta neve c’è lassù?

«Un metro e mezzo davanti all’ingresso, ma non ci vorrà tanto perché si sciolga. Per trovare la neve, qui sulla Marmolada, bisogna salire a 2400 metri. Sul Padon, qui davanti, invece, bisogna arrivare ai 3000 metri; ovviamente sul versante sud, tanto che a giorni vi saliranno anche i pastori con un migliaio di pecore».

Lei, dunque, è salito per la prima volta sul ghiacciaio a nove anni, immaginiamo con i genitori.

«No, con mio fratello che ne aveva quindici. La famiglia non ne sapeva nulla e allora non c’erano le attrezzature di oggi».

Tanto meno la prudenza…

«Se è per questo, io che lavoravo allo skilift, 500 metri sul ghiacciaio, sopra Pian dei fiacconi, la sera per fare più in fretta, usavo la giacca a vento come scivolo».

Questo significa che allora la neve arrivava abbondante fino al Fedaia.

«La neve e per qualche tratto anche il ghiacciaio. Ricordo che negli anni 60-70 la calotta era il doppio più estesa di oggi».

Lei è irrimediabilmente pessimista sul futuro della Marmolada?

«Purtroppo sì, considerato l’andamento climatico. Non c’è proprio nulla da fare. Per cercare di conservare il salvabile si è rinunciato anche all’eliski. Non per questo, però, la Marmolada è destinata a diventare una montagna come le altre. È un unicum sul piano naturalistico, glaciologico finché resiste, storico, soprattutto alpinistico. E quindi turistico».

E ai turisti possiamo dire che la sicurezza sanitaria, anche ai 2000 metri, è una certezza.

«Quando ti vengono a prendere, in pochi minuti, alle due di notte, vuol dire che la sicurezza è massima». —

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