IL PRIMO MAGGIO» TRA CRISI E SPERANZA

BELLUNO. Sarà un primo maggio sotto tono quello di oggi, con la manifestazione organizzata unitariamente da Cgil, Cisl e Uil davanti allo stabilimento dell’Acc a Mel. Non una festa, ma un incontro...
Di Paola Dall’anese
I sindaci della provincia uniti nella manifestazione ACCmanifestazione
I sindaci della provincia uniti nella manifestazione ACCmanifestazione

BELLUNO. Sarà un primo maggio sotto tono quello di oggi, con la manifestazione organizzata unitariamente da Cgil, Cisl e Uil davanti allo stabilimento dell’Acc a Mel. Non una festa, ma un incontro tra lavoratori per condividere uno stato d’animo comune, dove predomina il timore per il futuro.

Lavoratori disperati. Il futuro è già segnato per i 164 lavoratori dell’Invensys, che il 4 agosto chiuderà. E la preoccupazione sale, con l’avvicinarsi della data fatidica. A parlare è Marino Svaluto Moreolo, dipendente e Rsu. «Il nostro timore è di non riuscire a reinserirci nel mondo del lavoro. E non solo perché non ci sono prospettive, ma soprattutto perché molti di noi hanno superato i cinquant’anni: per loro sarà ancora più difficile trovare un impiego. E si sa che non è facile vivere con l’indennità di cassa straordinaria di 700 euro al mese, se si ha famiglia, mutuo e conti da pagare». Nonostante ciò, nei dipendenti resta la speranza «che qualche imprenditore possa rilevare almeno parte dell’attività, quella maggiormente redditizia, così da salvare lo stabilimento e i posti di lavoro», conclude Svaluto Moreolo.

Quello che i lavoratori oggi si apprestano a “festeggiare” è un primo maggio con uno stato d’animo comune: un misto di delusione, rabbia e voglia di credere che presto tutto cambierà, ma anche di consapevolezza che il percorso sarà lungo e tortuoso. «Prospettive non ce ne sono», dicono anche alcuni lavoratori della Zadra Vetri srl (altra azienda che ha chiuso i battenti), «e anche se uno ha voglia di continuare in piccolo l’attività precedente, la strada è tutt’altro che facile».

«Quella di oggi non è più la festa del lavoro, ma della solidarietà. Oggi a Mel ci troveremo per farci coraggio l’un l’altro», dice Gianni Segat, dipendente e Rsu dell’Ideal Standard, azienda per la quale a dicembre scadranno i quattro anni di solidarietà e per cui le prospettive non sembrano delle migliori. «Abbiamo sacrificato anni di lavoro e stipendio, pensando che la crisi dopo quattro anni sarebbe finita, ma ci troviamo oggi con meno prospettive di allora. E non sappiamo cosa ci aspetti per il 2014. Riversiamo tante aspettative sul piano industriale che l’azienda presenterà a giugno, pur sapendo che miracoli non se ne possono fare. Il pericolo è di trovarsi con tanti esuberi e non riuscire a gestirli. I numeri non ci sono e i pezzi che stiamo producendo sono inferiori a quanto stabilito. Speriamo solo che gli ammortizzatori sociali vengano rifinanziati, altrimenti sarà un’ecatombe».

Imprese al collasso. Parlano di situazione tragica anche gli imprenditori, che iniziano a nutrire sfiducia e delusione nel sistema. Tutti i settori sono praticamente bloccati e le prospettive di una ripresa sembrano lontanissime. «E la situazione è aggravata non solo dalle banche, che non erogano più crediti anche se si è sempre stati corretti, ma anche dalla burocrazia e dalle istituzioni che ti stanno col fiato sul collo», racconta Mario Roldo, della Rolmec srl di Sedico, impresa che produce meccanica di precisione per le auto e della Decolletage, che produce minuterie metalliche. «Si pensi che nel mese di aprile ho ricevuto sei controlli tra Inps, Spisal, Agenzia delle Entrate e via così. Non sono contro i controlli, ma questa foga mi pare un po’ eccessiva».

La società, che conta un centinaio di dipendenti complessivamente, è in sofferenza, se gli ordini non dovessero arrivare. «Siamo alla schizofrenia: per settimane si fanno gli straordinari, poi tocca mettere in cassa straordinaria i lavoratori. Resistere è durissima, specie a Belluno, dove manca tutto. In 40 anni di lavoro ho visto sei crisi, ma questa è la peggiore in assoluto, perché è senza fine».

Vita dura anche per Ferdinando Da Ronch, titolare dell’omonima ditta di Longarone, che conta 27 dipendenti (dieci di loro sono in cassa straordinaria, dopo aver passato tutto il 2012 in ordinaria). «Verrebbe voglia di chiudere tutto, ma resisto anche per garantire i miei dipendenti». Per Da Ronch uno dei problemi è proprio «la politica industriale di questo paese, che tassa i capannoni con l’Imu: dal 2011 al 2012 sono passato da 4 mila a 22 mila euro da pagare. E ora che le banche non fanno credito e i debitori non pagano, tasse elevate non aiutano l’impresa».

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