Il geologo Giacchetti: «L’area di Socrepes è imprevedibile»
Il presidente dell’ordine del Veneto analizza la situazione dopo lo squarcio del terreno a Cortina

«Se uno ha la bocca con molte carie, mangiare un cucchiaino di zucchero fa male. In questo caso la bocca cariata è il pendio di Socrepes e non si può pretendere che i cucchiaini di zucchero, in questo caso i cantieri, non abbiano nessun effetto». A dirlo è Giorgio Giacchetti, presidente dell’ordine dei geologi del Veneto. «Si tratta di un pendio molto fragile: se viene scavato è chiaro che dà luogo a fratture che sono fisiologiche».
Quali ripercussioni può avere questa spaccatura?
«Questo è un normale evento di collasso, di rammollimento del terreno in quel contesto. Ma questi distacchi sono l’indizio di movimenti in atto che si propagano per decine di metri. In alcuni contesti togliere o spostare l’acqua dal pendio dove si trova può avere effetti per centinaia di metri di distanza».
Cosa significa?
«Questo contesto ha degli aspetti di imprevedibilità molto accentuata, perché l’assetto del terreno non è omogeneo. Troviamo una serie di lingue, lenti, strati di natura diversa che si affiancano uno all’altro. Ci sono delle ghiaie, ci sono delle argille, c’è un misto di tutto distribuito in lenti dove l’acqua circola in maniera del tutto imprevedibile, tanto quanto è imprevedibile l’esatto andamento di queste successioni stratigrafiche».
Nell’area erano state fatte delle indagini geologiche.
«Noi esperti sappiamo grosso modo come sono le cose tramite le indagini. Ma il fatto che io faccia un sondaggio in una posizione non mi descrive cosa c’è 10 metri più in là. È come se guardassi l’ambiente geotecnico e geologico con gli occhiali un po’ satinati. O come se fossi miope e ad un certo punto mi togliessi gli occhiali: ho una vista più o meno corretta, ma i dettagli non li vedo. La lente che ti consente di investigare bene qualsiasi punto non ce l’abbiamo».
Come si fa ad essere più sicuri?
«Facendo determinate operazioni a costi elevatissimi. Si fa tutto se si vuole, anche questi problemi qui sono risolvibili da un punto di vista tecnico, ma hanno un costo».
Quali sono i rischi reali per la zona a suo parere?
«Non si innescherà un disastro stile Vajont, ma gli effetti si risentono perché le deformazioni si propagano per decine di metri. Faccio un esempio: l’apertura del passante di Mestre ha dato effetti a centinaia di metri di distanza, perché l’acqua si è mossa in un certo modo».
Quindi cosa potrebbe accadere in termine di spostamenti nelle aree circostanti?
«Sulle deformazioni stiamo parlando di piccoli spostamenti di ordine millimetrico. All’occhio non si vedono, però quando c’è un immobile in mezzo, ad esempio, la casa può cominciare a generare una piccola fessurina. Un millimetro di spostamento significa: “Questa fessura sulle piastrelle prima non c’era” oppure “Ah, la porta non si chiude più bene”».
Cosa si fa in questi casi?
«È come il chirurgo che opera il corpo di una persona viva: non si fa l’autopsia, si opera un copro vivo. I lavori, quindi, probabilmente andranno avanti. In questo caso, la prima cosa da controllare è che il cantiere sia in sicurezza, ovvero bisogna prendere provvedimenti che impediscano al materiale di fare danni nell’area fisica del cantiere. Si devono prendere provvedimenti per stabilizzare l’area, magari togliendo l’acqua o mettendo dei consolidamenti. Poi è chiaro: ci sono interventi fatti bene che richiedono un anno per essere realizzati e interventi fatti meno bene che richiedono poche ore».
Il pilone della cabinovia Ista presente sopra la fattura può in qualche modo subire dei danni?
«Se c’è una frattura del genere che viene notata in mezzo all’erba, possiamo pensare che a monte ci siano degli aggiustamenti di ordine millimetrico o poco meno, ma senza dubbio ci sono».
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