Il dramma degli internati: "Nel lager vidi mio cugino con l'uniforme delle SS"

Il racconto sofferto di Mario Bianchet, deportato a Bolzano. Nel giorno della memoria ha ricevuto la medaglia d'onore riservata a quanti furono internati nei lager nazisti
Affollata la sala di rappresentanza della prefettura
Affollata la sala di rappresentanza della prefettura
BELLUNO.
«Arrivare nel campo di concentramento e vedere che mio cugino, sangue del mio sangue faceva parte delle SS. Quello è stato il momento peggiore per me».


Si commuove ancora Mario Bianchet, al ricordo di quell'incontro, nel lager di Bolzano, che lo segnò profondamente. Bianchet è uno dei 70 deportati e internati che ieri in prefettura hanno ricevuto la medaglia d'Onore riservata a quanti furono internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l'economia di guerra. La cerimonia, molto corposa, ha visto la partecipazione delle massime autorità civili, militari e religiose della città. In apertura il prefetto Maria Laura Simonetti ha prima omaggiato il 7º Reggimento alpini, «recentemente colpito dalla morte di 5 soldati», poi ha ricordato come «le 17 persone insignite, presenti qui oggi, sono la testimonianza vivente di quanto sia ancora sentito il loro sacrificio». Il vicesindaco Leonardo Colle ha puntato sul valore della libertà, «conquistata proprio grazie a chi ha sacrificato la sua vita nel secondo conflitto mondiale», mentre l'assessore provinciale Alberto Vettoretto ha ricordato il significato di una cerimonia che «dev'essere da insegnamento per le nuove generazioni, perchè quel passato non deve più tornare. Dalle guerre non esce mai vincitore nessuno».


E per le nuove generazioni c'era un rappresentante della consulta giovanile che ha testimoniato l'impegno della consulta «a mantenere un clima orientato al rispetto reciproco, nelle diversità di cultura e religioni, per contrastare ogni manifestazione di razzismo, antisemitismo, esclusione sociale, per opporsi alle pulizie etniche, ai genocidi, alle occupazioni e alle guerre che continuano a perpetrarsi». I protagonisti della giornata erano loro, deportati e internati, visibilmente emozionati per il riconoscimento ricevuto. Nelle loro parole tanta commozione, come quella di Danilo Giacon, che ricorda «gli amici che avevo lì, e che non ho più rivisto perchè non so che fine abbiano fatto»; o di Umberto Bortot, che lavorava in una miniera di carbone. Il cibo era pochissimo nei campi, «patate soprattutto, e pochissimo pane», continua Giacon, «ma io ero fortunato, perchè mi hanno messo a scaricare i sacchi di zucchero, li prendevo a calci e potevo mangiarne un po'», gli fa eco Onorato Musanni. «Pane e brodaglia, questo avevamo», conclude Aldo Andrich. «Un giorno un compagno portò dei vasi di api. Mangiammo il miele, la cera e poi le uova. Se avessimo potuto avremmo mangiato anche le api, ma sono volate via».


Mario Bianchet invece dava tutto al fratello, che aveva 16 anni: «Vivevo con un bicchiere d'acqua al giorno e poco più». Dal campo di Bolzano sono usciti entrambi vivi, per fortuna, nonostante lo shock di vedere il proprio cugino, «sangue del mio sangue, con le SS. Ho pensato di morire. Era mio cugino...».


Il ricordo è doloroso, le lacrime affiorano agli occhi di Bianchet, che però ha stretta la sua medaglia d'Onore, simbolo di quello per cui ha lottato da giovane.

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