Ha spento le 80 candeline Lorenzo Lorenzi lo Scoiattolo che “inventò” il Soccorso alpino

Una vita vissuta tutta in montagna, e non solo a Cortina; a fine anni ’50 i primi salvataggi insieme a Luciano Bernardi 

IL PERSONAGGIO

Lunedì scorso Lorenzo Lorenzi, Scoiattolo tra i più attivi nel passato, soprattutto nel soccorso in montagna quando il Soccorso alpino ancora non esisteva, ha compiuto ottant’anni. Numerosi gli Scoiattoli che hanno partecipato ai grandi festeggiamenti a Ciasa Lorenzi.

Lorenzo, come hai iniziato ad andare in montagna?

«Ho iniziato con mio fratello Guido, che era dieci anni più vecchio di me. Con lui ho fatto la via Myriam in Cinque Torri a 12 anni. Ricordo che il giorno dopo ho rubato la corda di mio fratello per rifare la via con un mio amico. Quando sono tornato a casa me le sono sentite di brutto... Allora qui a Cortina come prete c’era Giuseppe Richebuono che ci portava ad arrampicare, a fare tante vie comuni. Poi ho iniziato ad arrampicare seriamente con gli appassionati dell’epoca, tra cui Claudio Zardini, Carlo Gandini, Luciano Da Pozzo».

Un po’ di curriculum...

«A 17 anni ho scalato la Nord della Lavaredo; a 18 la Cassin alla Ovest in Tre Cime, il Pilastro sulla Rozes; a 19 ho aperto la mia prima via: lo spigolo Scoiattoli sulla Ovest delle Tre Cime».

Quali altre prime vie?

«Nel 1963 feci la Paolo VI, sul Pilastro della Tofana di Rozes: lì abbiamo usato i chiodi a pressione; l’anno successivo, 1964, lo Spigolo Strobel sulla Rocchetta Alta del Bosconero, lo Spigolo est e la Parete est sulla Torre Fanis, lo Spigolo del Cristallino, le più importanti. Poi ci sono le prime vie in giro per il mondo. Ho fatto due cime in Equador; quattro al confine tra il Canada e l’Alaska; in India la prima ascensione del Parvati Peak; il Pan di Zucchero a Rio de Janeiro».

Sei stato pioniere del Soccorso alpino. Com’è nata e come si è evoluta l’idea?

« Il primo soccorso l’ho fatto sul Pelmo il 7 giugno 1957: avevo 17 anni. Lì ho visto il primo morto in montagna. Lo abbiamo portato giù con il compagno che aveva un braccio rotto. Con noi avevamo solo delle corde. Ci chiamavano spesso per i soccorsi; quindi, dopo qualche anno, io e Luciano Bernardi ci siamo dati da fare per organizzarci meglio: perdevamo parecchie giornate di lavoro e non avevano l’assicurazione. Siamo riusciti grazie all’aiuto di privati ad avere la copertura assicurativa, e poi assieme al CAI ci siamo organizzati per avere anche i materiali necessari. Abbiamo tirato giù dalle montagne tantissima gente. Poi è arrivato l’elicottero: all’inizio quello grande dell’Esercito, e poi il Lama piccolo, che si usa ancora oggi con il Suem. L’elicottero ha tolto il 90% dei soccorsi a piedi».

Cosa ricordi con piacere del lavoro di guida alpina?

« Ho avuto buoni clienti, mi hanno fatto girare il mondo».

Che differenza c’è tra gli Scoiattoli di allora e di oggi?

«Ora sono più atleti che alpinisti. Sono fortissimi arrampicatori, ma se li mandi a fare vie lunghe in montagna non so… È un altro modo di vivere la montagna: oggi si punta di più sulla difficoltà, ci sono materiali più leggeri e un’attrezzatura che noi non avevamo. Lo spirito di amicizia nel gruppo è tuttavia rimasto come allora, e questa è la cosa più bella». —

Marina Menardi

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