L’addio a “Tette” ha il ritmo del festival
Più che un funerale una serie di saluti e canzoni di fronte a tanti amici del fondatore delle Wongole: musica, aneddoti ed emozioni per tutti

Un pentagramma sull’urna delle ceneri di “Tette”. E accanto una fotografia di Stefano Zannantonio Martin con la fedele chitarra ritmica Gretsch sottobraccio e il microfono spianato davanti all’ugola. La sei corde rossa ieri pomeriggio era triste e solitaria, sul palcoscenico dell’hangar della Casa dei Beni Comuni: sopra la paletta, ospita il classico cappello Panama e gli occhiali a scacchi bianchi e neri, i colori della musica ska. Zitto l’amplificatore accanto, quasi in segno di rispetto per il suo proprietario, che non lo farà più divertire con la potenza della sua musica e la simpatia dei suoi testi.
E in platea tanti, tantissimi amici, in un abbraccio fraterno. Pubblico di chissà quanti concerti, colleghi musicisti delle scena bellunese e una schiera di cronisti, che nel corso degli anni ha documentato e documenta la musica d’autore delle Dolomiti.
C’è una sedia anche per le lacrime, ma tutte le altre sono per il divertimento, perché quello del 57enne di origine comeliana, che era stato il fondatore delle Wongole insieme a Carlo “Kozza” Botta, non è stato un funerale, ma un piccolo festival. Una scaletta di saluti e canzoni, come sarebbe piaciuto a lui. Una collezione di emozioni e aneddoti condivisi, in un’ora e mezza di spettacolo e applausi. E allora via quegli occhi lucidi e quelle mani da stringere per le condoglianze, a cominciare dai canti a cappella dei Sintagma, una formazionesi sei elementi scesa dal Comelico, dove sono nati il papà Gino e la mamma Tina.
Il “Dottor Seni”, questo l’altro soprannome d’arte di Zannantonio, era originario di quella zona della provincia, dove si parla il ladino di Lucio Eicher Clere, il primo amico che l’ha ricordato. Qualcuno può non aver capito tutte le parole che ha pronunciato, ma vorrà dire che se ne farà una ragione. Ci voleva anche un saluto in lingua, sotto la regia del nipote musicista Matteo D’Incà.
E d’altro canto tutti avevano già letto il testo de “L’Anima”, distribuito accanto alle offerte per Mano Amica, insieme a un laico santino con il saluto a tutti di Zannantonio: «Bella giente: se esistete ancora in qualche vostro gradito pelo recondito resistete! Noi que siempre ci diamo del voi (a me stesso), resistiamo. Niente digitale. Solo a mano. E spesso ci viene da piangere. Per fortuna. Nostra e vostra».
C’è chi ha improvvisato al momento sul palco e chi invece, come Valentina De March, ha imbracciato la chitarra acustica e seguito lo spartito di “Non morire prima di...”. Tra i vari saluti, anche quelli del figlio Fabio, prima che attaccasse quello che è rimasto in parole e musica delle Wongole con Bruno “Cordiali” Corriani alla voce e alla chitarra. Non hanno suonato classicissimi del loro scatenato repertorio, ma non è mancato nemmeno un apprezzato assolo di batteria.
Non c’era il tempo materiale per allestire un intero concerto, ma quello che hanno eseguito è bastato come congedo e arrivederci. Finale con la voce di “Tette” rimandata dal mixer in “Motorino Malagutti” sot al... Tre lettere, in dialetto bellunese. Chi se ne stava tornando a casa, avrebbe quasi voluto guidarlo quel cinquantino della canzone.
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