«Fodom è la mia terra, la mia lingua, la mia identità»
L’INTERVISTA
«Torno a casa mia. Fodom è la mia terra, la mia lingua, la mia identità».
È contento don Andrea Constantini Ghea, classe 1971, nato a Cortina, di prendere possesso oggi delle parrocchie Fodom di Livinallongo e di Arabba. Alle 10 il solenne ingresso nell’antica pieve di Livinallongo, alle 17 ad Arabba. Lo accoglieranno ladini e italiani, il sindaco Grones in testa.
Ha imparato un po’ di ladino?
«È quasi un’offesa, se mi permette. Il ladino lo considero la mia lingua madre...».
L’ampezzano, semmai.
«Ma la lingua è il ladino, ha la pari dignità dell’italiano. L’ampezzano trova nel ladino la sua radice ed ha qualche accento diverso. Mia nonna era nata in Fodom e quindi io ritorno a casa, se così si può dire».
Fodom vuol dire separazione dal resto della provincia?
«No, semmai è una diversità che garantisce un valore aggiunto alla cultura, alle tradizioni, alla storia, ma anche alla socialità del Bellunese e della Chiesa che è di Belluno e Feltre».
Una Chiesa e una società polifonica...
«Dice bene. Io sono nato a Cortina che ha una sua identità, sono stato a Vigo dche ne ha un’altra (cadorina, ndr). Sono stato pure in Comelico, dove l’identità e la parlata sono ancora diverse. Ho fatto il parroco a Falcade, e in Valbiois non mancano identità specifiche. Il vescovo mi ha voluto pure nel capoluogo, a Cavarzano, e qui ho sperimentato un altro tipo di appartenenza. Se non è polifonia questa…».
Dalla valle fodom, dunque, lei ritiene di poter offrire un contributo alla vocazione storica della Chiesa di Belluno Feltre. Vocazione che è quella di dar valore a tante diversità, riconducendole ad unità nella testimonianza della fede?
«Esatto. Unità intorno all’altare. E nella testimonianza del Vangelo. Diversità, invece, nella espressione della fede».
Significa che nelle sue comunità ci saranno liturgie in lingua ladina? Anzi, domani (oggi per chi legge, ndr) saluterà in ladino?
«Sorpresa. Quanto alla liturgia, non mancheranno le preghiere dei fedeli in ladino. Ma siccome questa lingua è contenuta di termini, le letture sono difficilmente traducibili e rischierebbero di perdere di significato. Vedremo, allora, che cosa si può fare».
Il vescovo Marangoni è preoccupato di quelle pratiche che dentro la Chiesa possono portare a divisione, addirittura a conflitto. La tradizione non sempre unisce, l’affermazione dell’identità non si coniuga sempre come il rispetto dell’altro…
«No, no. È stato il vescovo a chiedermi di venire quassù, sapendo che io sono ladino. Mi ha mandato espressamente per valorizzare queste comunità anche nelle loro espressioni identitarie. L’identità, in questo caso, non è chiusura, ma apertura all’altro. Accoglieremo ben volentieri quanti vorranno verificare come si può vivere la fede, la cultura, la socialità nella condivisione, senza cioè creare nuovi confini».
Il sindaco fodom, il parroco ladino, l’Istituto di cultura e la scuola… dove volete arrivare? Fonderete la piccola patria fodom?
«Io sono un povero prete e mi occupo della fede, che so profonda, della mia gente. Ho promesso obbedienza al vescovo. Quindi rispetterò i confini dell’azione pastorale e religiosa che mi è stata data. Certo, nell’amore per questa mia gente. Come ho amato gli amici di Cavarzano e delle altre parrocchie in cui sono stato». —
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