Fenomeno Porcenese, l’Inter del Csi

SEREN DEL GRAPPA
Un calcio al pallone, un tunnel al razzismo. Si chiama Porcenese e, a suo modo, somiglia tanto all’Udinese o all’Inter, se non fosse che rispetto alla squadra friulana o a quella milanese qui c’è qualche italiano in più. Qualcuno, ma non troppi. La rosa della formazione allestita dal presidente Marco Zanella, è composta da ventotto giocatori di undici diverse nazionalità. Da quasi un anno si allenano assieme nel campo di Facen, a Pedavena e giocano nel campionato Csi. L’integrazione c’è ed è così naturale che neppure se ne parla. I colori della pelle e quelli delle loro bandiere si mescolano a quelli delle maglie della squadra, in una tavolozza dipinta da sportività e amicizia. Francia, Italia, Romania, Polonia, Gambia, Argentina, India, Marocco, Sudan, Macedonia, Albania: il campionato che queste nazioni giocano aspira alla stessa coppa, quella del rispetto per l’etnia, la cultura e la diversità.
La storia di Lamin Banjul, che dall’Africa è arrivato in Italia a venticinque anni perché voleva viaggiare, si intreccia a quella di Eduart Byku, albanese di trentadue anni che a soli sedici è partito per cercare una soluzione ai suoi problemi economici. Dopo aver trascorso quattro anni in Puglia come agricoltore, è arrivato a Feltre per fare il giardiniere di campi da golf e da calcio. Su questi sta coltivando, con i suoi compagni italiani e stranieri, la stessa passione per lo sport. Adesso sta cercando di lanciare una sua impresa edile, la “Byku Srl”, però «c’è ancora diffidenza ad affidare un lavoro a un’impresa straniera». Nel frattempo spera di laurearsi in Studi internazionali a Trento, anche con l’idea di andare via. Altri tre ragazzi sono arrivati dal Marocco. Essahel Mohammed, venticinquenne che a soli undici anni ha seguito il papà in Italia e rimpiange il caldo delle sue terre, pensando di tornarci. Anche Idris El Omari è arrivato in Italia a undici anni, ma ne ha solo ventidue e ormai si dice «ambientato. Ho nostalgia, ma resterei qui».
Abdesalam Hamba è arrivato a Montebelluna nel 2000. A trentadue anni si trova disoccupato da due, e riconosce che «è più facile vivere qua. All’inizio è difficile cambiare vita, imparare la lingua e a lavorare, ma è come salire delle scale. Io ne ho salite un po’, ma devo ancora scalare». Marcelo Pincini invece è atterrato qui dall’Argentina, alla ricerca di lavoro insieme alla sua famiglia. «Passare da Buenos Aires a Feltre è stato un trauma; l’idea di tornare là c’è sempre». Dalla Polonia proviene uno dei giocatori più piccoli, Tomasz Dyrcz, che è a Feltre da quando aveva sette anni, e ora che ne ha diciannove si dice praticamente italiano: «Non ho voglia di tornare là». Rappresentante della classe di operatori elettrici del Rizzarda, dichiara di trovarsi molto bene coi suoi compagni. Come hanno ribadito tutti, d'altronde. Alessandro Nastasi, il capitano diciannovenne della squadra allenata da Matteo Ventimiglia, lo conferma. «La multietnicità è un valore» sostiene convinto il presidente Zanella. «Da queste parti ci sono pochi che hanno il coraggio di fare questi discorsi, che non hanno bisogno di pubblicità, ma servono comunque per dare un segnale forte contro la disuguaglianza sociale». Mai colpita da episodi di razzismo o diffidenza (salvo qualche titubanza nel fissare partite amichevoli), la Porcenese sta giocando il suo primo campionato, e per ora si attesta al settimo posto su dieci. Avrebbe preferito allenarsi a Seren del Grappa, ma anche dietro un cospicuo pagamento le è stato rifiutato l’affitto del campo. Questa giovane squadra internazionale sta dando un’importante lezione: combattere il razzismo, sconfiggere i pregiudizi e superare l’intolleranza. Semplicemente giocando.
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