Fatalità o leggerezza? Il Cai assolve il corso «Non è imprudenza»

ODERZO. Disgrazia, fatalità, imprudenza. Il giorno dopo la tragedia sulla cima della Marmolada ci si interroga su quanto accaduto e soprattutto sulla possibilità di evitare la morte di un giovane alpinista. Gli organizzatori ribadiscono che di maltempo in quota non c'era traccia. E che proprio per questo l'escursione è stata svolta come da programma. «C'erano solo nuvole basse, sembrava di stare immersi nella nebbia. Stavamo scendendo perché non si vedeva niente. Quella via la conosciamo bene, l'avevamo scelta per arrivare prima al rifugio», spiega Paolo Lorenzon, istruttore della scuola di roccia Piave-Livenza, «Non c'è stata alcuna imprudenza. La nostra sfortuna è stata la mano sul cordino metallico. E pensare che quel tratto si poteva fare anche senza aggrapparsi». Una linea, questa, confermata anche da Milo Da Re, presidente della sezione opitergina del Cai. «I bollettini meteo non davano rischi particolari. Li consultiamo sempre prima delle escursioni. Certo, era nuvoloso: ma non è perché ci sono le nuvole che non si può andare in montagna. Il tempo era dato in peggioramento nel pomeriggio. Se un alpinista va in montagna per conto suo, è libero di rischiare quel che vuole. Ma quando si fanno i corsi, si lavora in sicurezza. Questa è stata una fatalità». «Chi va tanto in montagna si sottopone a rischi imponderabili, come sono i fulmini. Se si va con il brutto tempo, ci si assume un rischio ben maggiore»: lo spiega Alex Barattin, vice delegato del Soccorso Alpino delle Dolomiti Bellunesi. «Quando si progetta un'escursione, una delle prime cose da guardare è il meteo. Poi bisogna studiare una soluzione alternativa al percorso: il tempo può cambiare repentinamente e non bisogna trovarsi nelle condizioni di dover forzare la mano e andare lo stesso. Poi serve un abbigliamento tecnico adeguato, un ricambio, un piumino leggero, il telo termico, la candela e l'accendino». Ma quanto pesa l'imprudenza? «E' una parte importante negli incidenti che non cala nonostante la formazione e le molte informazioni su Internet», chiarisce Barattin, «Si valuta la gita senza cognizione di causa, guardando i tracciati in Rete o la relazione dell'atleta di turno, e si sottovalutano le informazioni».
«Nelle nostre gite ci affidiamo ai bollettini meteo che non sono tutti uguali poiché la meteorologia non è una scienza esatta. Alla fine tutto sta nella valutazione del singolo individuo, nell'esperienza e nella forza di saper rinunciare o di andare», spiega Sergio Mari Casoni, presidente del Cai di Treviso, «Poi c'è anche il fato, il destino». (ru.b.)
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