È morto Rizzato, rubò e diffuse le carte segrete della Sade

LONGARONE
È scomparso sabato scorso a Padova, all’età di 87 anni, Lorenzo Rizzato. Un nome che ai giovani dirà poco o nulla a Belluno, ma che nel mondo culturale padovano e veneto è ben conosciuto. . Ma il suo nome è noto anche a coloro che conoscono la tragedia del Vajont, soprattutto che hanno seguito o studiato quello che accadde dopo il disastro, pochi giorni dopo. Rizzato è infatti l’uomo, allora un giovane, che rubò i documenti delle prove idrauliche fatte dall’Università di Padova, dal professor Ghetti, sul modello di diga che era stato realizzato nella centrale di Nove di Vittorio Veneto.
Secondo quei documenti si capiva bene che per simulare la frana era stato usato un materiale totalmente diverso da quello reale del monte Toc, per verificare gli effetti di una frana sul bacino: nei lucidi rubati da Rizzato e passati alla stampa si dimostrava che era stata usata della ghiaia, anziché del terreno compatto. I risultati rassicuranti di quelle prove vennero utilizzati dalla Sade per affermare l’inesistenza del pericolo.
«In sostanza», raccontò Rizzato in una intervista rilasciata a Stefano Campolo e pubblicata sul nostro giornale nel 2003, «da quei documenti si capisce che se si fosse dato ascolto al geologo Muller, non ci sarebbe stato il disastro». Per quel gesto Rizzato si fece otto giorni di prigione, a Padova. E subì processi che durarono quattro anni, da cui uscì assolto per insufficienza di prove.
Passati diversi decenni, Rizzato definiva la sua decisione di diffondere pubblicamente quei dati «un atto civile», ma allora i tempi e il clima erano altri. L’unica solidarietà Rizzato la trovò tra i detenuti: «Avevano capito il mio gesto». E lo protessero in quegli otto giorni durante i quali non mancarono minacce velate e pressioni da parte di alcuni detenuti.
Ma perché Rizzato era finito in carcere? Cosa era accaduto nei giorni successivi al Vajont nell’Istituto di idraulica di Padova? Rizzato ce la raccontò così: «Subito dopo il disastro del Vajont il clima al dipartimento era terribile. Augusto Ghetti era in difficoltà perché aveva fatto le prove sul modello di Nove con gli elementi che gli aveva fornito la Sade per cui lavorava suo fratello. In realtà tutti i dipendenti del dipartimento lavoravano per la Sade, chi più, chi meno. Era un modo per arrotondare il magro stipendio dell’Università. Io ad esempio facevo dei disegni e conservo ancora delle fatture della Sade. Apprendemmo del disastro dai giornali, come tutti, ma dopo il primo giorno di grande sgomento, sul Vajont calò un muro di silenzio. Due giorni dopo, venerdì, mi telefona Busetto (Franco Busetto allora era parlamentare del Pci), mi chiede la relazione delle prove fatte sul modello del Vajont a Nove. Lì per lì non ricordavo, ma il giorno successivo trovo i lucidi in un archivio e li porto via, consegnandoli a Busetto».
Il deputato comunista passa la relazione a Mario Passi dell’Unità. Ma Guido Nozzoli, giornalista del Giorno, lo viene a sapere e anticipa Passi pubblicando la notizia. «Quando al Dipartimento si accorsero della sparizione dei lucidi», raccontò Rizzato, «mi fecero tenere d’occhio da alcuni colleghi, ma lo seppi solo molto dopo. In pratica ero pedinato e quando il lunedì successivo riportai i documenti in facoltà ebbi la fortuna di lasciarli cadere spingendoli sotto un mobile un istante prima di essere visto da un professore. Ma ormai tutti davano la colpa a me e nel primo pomeriggio di lunedì, alle 15 mi chiamano fuori. Con un pretesto mi fanno uscire e mi fanno salire su un’auto, dove due carabinieri in borghese mi comunicano che sono in arresto per furto aggravato. Resto in carcere fino al 21 ottobre, quando vengo processato per direttissima e assolto per insufficienza di prove. Rimesso in libertà non posso lavorare perché nel frattempo l’Università mi ha sospeso dal servizio e bisogna attendere la fine di tutto l’iter processuale. Ho vissuto per quattro anni con 11 mila lire al mese di assegno familiare».
Lorenzo Rizzato tornò a lavorare all’Università solo anni dopo, e non nell’Istituto di Idraulica. Nel frattempo si era dedicato al teatro, che per tutta la sua vita è stata la sua principale passione, che lo ha portato a fondare nel 1964 il Teatro popolare di ricerca.
Di Rizzato parlò Marco Paolini nel suo spettacolo sul Vajont. Paolini lo conosceva proprio per questioni legate al teatro e saputo del suo ruolo nel far conoscere la verità sul Vajont, si sentì in dovere di ringraziarlo pubblicamente.
I funerali di Rizzato si terranno giovedì alle 11 nella Sala del Commiato nel Cimitero Maggiore di Padova. —
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