È cinese il 10% dei negozi concorrenza in periferia

BELLUNO. Belluno, made in China. Il 10 per cento del territorio commerciale cittadino è in mano ai negozianti cinesi. Che hanno quasi completamente lasciato il centro, per sistemarsi in periferia, dove ci sta tutta la più ampia mercanzia e i parcheggi favoriscono l'arrivo dei clienti. In piazza Piloni, resiste il Nuovo Shangai, mentre è scesa da poche settimane la saracinesca del bazar Lin di viale Fantuzzi, il cui posto è stato ereditato dal Lavasecco Moderno. E poi c'è qualche bar, qua e là, come quello di via Loreto. Ma il grosso si è spostato tra la Veneggia e la zona industriale.
Dove c'era il Trony, è comparso l'Ocean market; nel palazzetto che avrebbe dovuto ospitare gli uffici dell'Usl, è comparso il M.P market e di fronte a Equitalia c’è il bazar T.T.Fa. Tutti garantiscono orario continuato e apertura domenicale. Senza che nessuno si lamenti. Questi negozi vendono qualsiasi cosa, dall'abbigliamento ai fiori finti e a prezzi stracciati al quadrato o al cubo. Non puoi aspettarti la grande firma, ma nemmeno puoi pretenderla, anche se qualcuno azzarda Hello Kitty in vetrina. Sempre alla periferia Est, c'era anche il 186 market con il suo carico di abbigliamento, accessori, casalinghi e bazar, ma il vecchio magazzino che ospitava il Penny alimentari è attualmente svuotato e sono in corso dei lavori di tinteggiatura alla facciata. Un po' di pazienza e potrebbe riaprire o forse lasciare strada a un altro marchio, più o meno simile.
Allarme Ascom.. I cinesi passavano per essere i più grandi ristoratori al mondo, ma non scherzano nemmeno con la moda. Il presidente di Federmoda, Vittorio Zampieri non nasconde la sua preoccupazione dietro i manichini: «La situazione è indubbiamente allarmante. Il dato non è preciso al centimetro, ma si parla del 10 per cento della superficie in mano a cittadini di nazionalità cinese e tutto sarebbe tenuto da poche persone. Stiamo assistendo anche noi al fenomeno per cui i negozi di qualche anno fa diventano supermercati e si spostano in zone periferiche, dove la clientela è più comoda a raggiungerli e magari risparmia anche tempo e soldi per il parcheggio».
Tutto in contanti. È gente che non ha problemi di soldi e questo diventa un vantaggio per i proprietari dei muri, che ricevono puntualmente gli affitti o anche gli importi della vendita: «Gli acquirenti asiatici non passano per le banche e non lasciano tracce nemmeno alla Cofidi, la società che svolge attività di garanzia collettiva dei fidi. I cinesi pagano in moneta sonante e sono forse gli unici a potersi permettere certe operazioni, anche molto onerose. I miei concittadini, invece, devono spesso accendere un mutuo, altrimenti non sarebbero in grado di pagare».
Due anni e chiuso. Il ricambio è continuo. E molto più frequente, rispetto ai negozi gestiti da bellunesi: «I primi controlli sul piano fiscale arrivano dopo ventiquattro mesi e in molti casi le serrande si abbassano inesorabilmente. È un dato di fatto: non sto accusando nessuno, perché non tocca a me».
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