Don Soravia al Cadore: «Troppo individualismo»

PIEVE DI CADORE. «Sono convinto della fortuna che ho di vivere oggi in Cadore», afferma monsignor Diego Soravia, da un anno Arcidiacono del Cadore, parlando di questa sua esperienza, «sono però altrettanto convinto che sia urgente uno scossone salutare prima che la situazione diventi insostenibile per lo spopolamento, la chiusura delle fabbriche, la fuga dei nostri giovani. Non fare nulla sarebbe la scelta più grave: un po’ alla volta scopriremmo di essere sempre di meno, di non avere voce in capitolo là dove si fanno le scelte per la montagna. Ricordo con piacere la grande manifestazione sul ponte Cadore. Perché non è stata fatta qualcosa di simile, tutti insieme, in occasione del disagio elettrico di fine dicembre?».
Il ruolo dell’arcidiaconato nella vita cadorina è importantissimo: lo dimostra il fatto che l’Arcidiacono è anche consigliere in Magnifica Comunità.
Com’è stato accolto e in quale clima?
«Il giorno del mio ingresso, il 20 gennaio 2013, era ricco di neve e di emozione. Mettere insieme la realtà del Comelico appena lasciato e quella nuova era e continua ad essere il mio impegno. La prevalenza è data alla nuova “famiglia” nella quale desidero entrare. L’accoglienza dei nuovi parrocchiani è stata buona, anche se ci vorrà del tempo perché mi sentano come uno di famiglia, uno di loro. Anche le istituzioni hanno dimostrato attenzione e accoglienza: per ora prevale l’aspetto del ruolo; ma poi, spero, ci sarà maggior affiatamento con la persona».
Tutti ricordano quando ha proposto di trasformare il verbo “conservabitur” (nel motto Iustitia ed fide conservabitur) in “promovebitur”.
«Anche se vengo dal Comelico, penso di conoscere bene la vita della montagna, i suoi ritmi e la fatica del vivere in montagna. Ritengo sia urgente intervenire. Tra poco, se Sappada andrà in Friuli e Comelico Superiore in Alto Adige, noi ci guarderemo in faccia smarriti ed abbandonati. E’ vero che la giustizia e la fede sono e saranno valori da conservare e apprezzare, ma è altrettanto vero che servono iniziative nuove, proposte coraggiose. Sta a noi amare per primi il nostro territorio, avere il coraggio d’investire di nuovo, di trovare forme di unione: un’azione coordinata tra Comuni, un maggior dialogo tra le Regole. Con una più incisiva presenza della Magnifica. Questo serve. Mi rendo però conto che il mio ruolo di sacerdote ed anche di membro della Magnifica non si sovrapporrà mai a quello dei pubblici amministratori».
Veniamo allora al suo ruolo: come lo vive?
«Sto cercando di conoscere e apprezzare ciò che i miei predecessori hanno seminato. Se ci sarà nei parrocchiani un clima di stima, di dialogo e di collaborazione, cammineremo sulle vie del Vangelo».
Cosa l’ha più colpita allora in questo primo anno?
«Prima di tutto un diffuso individualismo. Manca un affiatamento paesano. Mi sembra che ognuno guardi solo al “suo negozio”. Manca cioè un’anima paesana, un sentirsi parte viva d’una comunità. Religiosamente m’impressiona l’assenza dei giovani: bambini e ragazzi solo raramente li incontro in chiesa. Vedo molti giovani che avrebbero bisogno di qualche adulto significativo vicino: spero che si costituisca un gruppo giovanile dinamico, gioioso, impegnato. Sono però contento di essere a Pieve. Sono convinto che un po’ di bene riuscirò a realizzarlo con la collaborazione, la stima e la preghiera dei miei fratelli e sorelle di fede».
Vittore Doro
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