Don Sicurezza e il pugno di ferro

PADOVA. È il parroco del momento, quello che in una mano tiene l’aspersorio e con l’altra stringe il manganello; il belligerante monaco benedettino «compagno di fede» (parole sue) dell’assessore alla Sicurezza della Provincia di Padova, Enrico Pavanetto. E va specificato che la fede in questione è quella che entrambi ripongono in La Russa e la Meloni, fondatori del partito Fratelli d’Italia (L’Italia chiamò). Don Federico Lauretta, 39 anni, feltrino, ex sbandieratore del Palio, da 16 è monaco nel convento di Santa Giustina di Padova, vincolato al benedettino regime di “elastica clausura”: ora et labora, regola rigida, disciplina, ordine e via. Un rigore che l’energico religioso pare voler esportare anche a colpi di olio di ricino, dovesse servire. E serve, considerato che il don è ossessionato dalla mancanza di sicurezza in città. Rapinatori, ladri, truffatori: «I figli dei padovani rischiano la vita, non è più tollerabile, questo è Far West. E dopo ci lamentiamo perché la gente usa le pistole. E cosa deve fare?». È pur stato papa Francesco a dire: «Non dobbiamo credere al Maligno che dice che non possiamo fare nulla contro la violenza, l’ingiustizia, il peccato», ma è possibile che non ipotizzasse l’uso sociale allargato di Glock calibro 21.
Venti giorni fa don Lauretta è stato nominato parroco delle 2.300 anime che fanno riferimento alla Basilica di Santa Giustina, ed è già imbufalito: quattro giorni fa una gentile signora ha intortato il monaco portinaio, l’ha seguito fin nell’area di clausura e ha rubato 1.800 euro, le offerte natalizie. Pochi giorni prima altro furto in basilica e poi «bustine di droga nascoste nelle fioriere del cortile: le hanno trovate i cani antidroga che ho dovuto chiamare; un ragazzino rapinato della bici, furti, stranieri sfaccendati e spacciatori», spiega. Con irruenza, stroncando il decreto svuota-carceri, chiedendo certezza della pena, invocando la presenza delle forze dell’ordine. Con questo bagaglio sabato mattina il belligerante benedettino, in runner e saio, bello e atletico, ha fatto la sua prima uscita pubblica: mica alla Caritas o alla messa in stazione ma al sit in per la sicurezza e contro il decreto svuota-carceri organizzato davanti alla Prefettura dai Fratelli d’Italia-l’Italia chiamò. Ovvero Pavanetto, Raffaele Zanon ex assessore regionale, Daniele Roncolato, 30 anni, responsabile dei Fratelli per le Terme, proveniente dalla Fiamma Tricolore fondata da Pino Rauti, e compagnia molto militante. In sette a lato della tomba di Antenore, megafono, strali contro gli immigrati («Arrivano in Italia, godono di benefici e fanno i criminali impunemente. Adesso basta»), quattro passanti di numero che si fermano. Don Lauretta sta ancora celebrando un matrimonio, arriva con mezz’ora di ritardo, col saio che rimbalza sulle grandi falcate.
Padre, fa un certo effetto questo suo vistoso impegno in tale contesto. E lui: «Nessun problema, sono un uomo libero, non cerco gloria e dico quello che voglio. Ho subìto furti, e sono soldi della parrocchia mica miei». Va detto che il don è uomo d’ordine per vocazione: è cappellano della Polizia provinciale e della Guardia di Finanza e la sua chiamata verso l’oltre destra è di lunga data: «Ho militato nel Fronte della Gioventù, sono di destra, mica è cosa antievangelica», risponde. E in tribuna Fattori all’Euganeo, quella degli ultras del Padova, è come in famiglia. «Non siamo più sicuri a casa nostra», insiste. «I forti se la prendono con i deboli. È un far west. E poi, se fai loro del male, finisci tu in galera». Ieri i parrocchiani chiacchieravano tra lo scettico e l’infastidito delle sue uscite. Ma lui, don Sicurezza, non fa dietrofront. Avanti convinto, incurante dei commenti. Che pure Padova non gli risparmia.
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