Del Din della Blackfin: «Delocalizzare? Parola sconosciuta»

AGORDO. Che cosa vuol dire Industry 4.0 per un’impresa come la Blackfin, che in Agordino sta ridefinendo il concetto stesso di leggerezza e resistenza per l’occhiale del futuro? «È un buon sinonimo della nostra etica produttiva che noi chiamiamo neo Made in Italy, come scriviamo sui nostri occhiali».
Chi parla è Nicola Del Din, il ceo. Che cosa significa neo Made in Italy?
«Ci sono tanti onesti che scrivono sull’occhiale Made in Italy, però sappiamo che non sempre corrisponde al vero. Neo Made in Italy significa, invece, chiara produzione italiana, bellunese nel nostro caso, ma anche estrema qualità, rispetto per le persone che lavorano con noi da tempo».
La sua azienda ha 46 anni.
«Una start up ante litteram. L’ha fondata mia madre, la 18esima assunta alla Luxottica, che poi è uscita per fare la terzista. Ecco perché neo Made in Italia significa rispetto per i nostri collaboratori, per le loro famiglie, per le nostre tradizioni, per quello che hanno fatto i nostri genitori».
Non avete mai immaginato di delocalizzare?
«Mai. È un verbo sconosciuto al nostro vocabolario. Se si vogliono vendere occhiali ad un prezzo molto basso può funzionare. Ma se si vuole vendere un prodotto di alta qualità, con una bellissima storia italiana, non ha senso delocalizzare. Gli imprenditori devono capire che non devono vendere solo un pezzo di ferro, devono vendere, con orgoglio, il nostro passato, la nostra esperienza, i nostri luoghi».
È vero che portate in gita i collaboratori e le loro famiglie? «Lo facciamo spesso, per fare amalgama».
Il territorio è unico, per gente e bellezze ambientali, oltre che per cultura del lavoro. «Tutte queste bellezze devono ispirare il nostro prodotto e riteniamo che debbano essere raccontate anche negli occhiali».
In che modo? «Chi compra i nostri occhiali, magari negli Usa, ad un prezzo molto elevato, deve trovare un prodotto di sostanza e nello stesso tempo una bella storia italiana, possibilmente vera».
Gli occhiali al titanio sono solo vostri? «Sì, quasi nessuno ancora li produce. La nostra svolta è iniziata nel 2007. Eravamo in 20. Adesso grazie al nostro brand, a questa nuova strategia, siamo 65, più 25 agenti in Europa. Siamo un’azienda piccola, però siamo fieri di rappresentare un buon esempio di chi ha trovato la propria strada».
Il vostro fatturato? «Dovremmo arrivare intorno a 10,5-11 milioni, quando eravamo terzisti al massimo raggiungevamo i 2,3 milioni, tra l’altro con delle belle perdite perché dieci anni fa l’azienda era in difficoltà».
Oggi siete voi ad aiutare gli altri in difficoltà. «In qualche caso facciamo da banca a piccoli fornitori in condizioni di disagio con gli istituti di credito. Abbiamo proposto noi di pagarli vista fattura, all’istante. Colpo di scena, erano abituati ad essere pagati a 120, 150, 180 giorni. Questa è una vergogna, così si stritola il fornitore e non si progredisce come sistema».
La qualità premia anche nel Bellunese? «Quando dico qualità, la prima cosa che penso è qualità del modo di pensare e di approcciarsi alle persone, ai fornitori. Tanti pensano che la qualità del prodotto sia un punto d'arrivo e invece essa è un punto di partenza per fare altri tipi di approccio».
Ma in provincia di Belluno? «Molti devono ancora capire che questo concetto di qualità va oltre il prodotto, sarà un elemento essenziale del futuro. Questo concetto può essere trasferito non solo al mondo dell'occhiale ma trasversalmente a qualunque tipo di attività, turismo in primis».
Che cosa manca ai bellunesi? «Lungimiranza, apertura verso il mondo, internazionalizzazione. Manca la voglia di farsi un giro all’estero e vedere come funzionano le cose. Ho sempre più l'impressione che mentre gli altri stanno correndo, noi stiamo a dirci che siamo i più bravi, i più belli, la storia, la cultura, i romani, il rinascimento... Tutte cose vere però dobbiamo fare un passo oltre, dobbiamo andare avanti».
Ci lamentiamo troppo, come bellunesi? «Sì, della politica, dell’autonomia degli altri. Ok, però il nostro primo problema sono le idee che mancano.. Se hai il capitale ma non le idee, riesci solo a dilapidare questo capitale».
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