Dal Giappone a Belluno: una scommessa «Pochi i voli e c’è l’incertezza del ritorno»

LA STORIA
Prima marzo, poi luglio, poi giugno ma dell’anno dopo. Per la 33enne feltrina Simona Zollet tornare a casa è diventata un po’ una scommessa con il Coronavirus.
Lei che in Giappone vive da quasi quattro anni, arrivata con un dottorato di ricerca alla facoltà di Sviluppo e cooperazione internazionale di Hiroshima per occuparsi dello sviluppo rurale in aree interne e montane, dovrà pazientare ancora per rivedere la famiglia.
«C’erano pochi voli e poi il Giappone si è dimostrato molto restrittivo con i rientri, in particolare degli stranieri, anche se residenti», racconta, «il rischio per me era di tornare e non riuscire più a rientrare a Hiroshima, così ho deciso anche per stavolta di restare qui, in attesa di tempi migliori». È pur vero che la situazione sanitaria in Giappone è migliore che in Italia, almeno per lo stile di vita. «Qui si indossa la mascherina come prassi comune d’inverno, sia per proteggere gli altri da eventuali raffreddori e influenze sia per proteggersi dal contagio, soprattutto sui mezzi pubblici. Inoltre le persone qui non sono abituate a baciarsi o abbracciarsi per salutarsi, il che favorisce in un certo senso la distanza sociale». «Con la mia famiglia ci sentiamo tutte le settimane un paio d’ore il sabato», racconta la ricercatrice, «per le feste abbiamo fatto una videochiamata su Skype e abbiamo mangiato il panettone, un evento per me visto che è stata la prima volta che sono riuscita a comprarlo in un supermercato giapponese».
All’alba di Capodanno, poi, lei e il marito sono andati a fare visita al tempio shintoista locale, come da tradizione giapponese, per «pregare per un 2021 migliore».
Simona Zollet lavora in smart working da marzo, una facilitazione nonostante «le università non siano molto tecnologiche, a dispetto di quel che si possa pensare del Giappone». Una condizione che le ha permesso di impegnarsi sulla tesi e su vari articoli accademici, di farsi il pane e lo yogurt in casa e di coltivare un piccolo orto domestico, senza scordarsi di pianificare il futuro nonostante le molte incertezze.
«Non ho paura per il mio avvenire, ma temo le ripercussioni a livello economico e sociale», spiega Zollet. «Vedo continui tagli alle università e alla ricerca, soprattutto in Europa, e mi chiedo che destino avrei se decidessi di tornare. Temo un mondo in cui l’ambiente e il cambiamento climatico possano essere messi in secondo piano per consentire all’economia di riprendersi. Vivere con l’essenziale, ri-scoprire il piacere di produrre e crearsi le cose piuttosto che comprarle sono piccole conquiste che ho fatto e che spero possano segnare un cambio di mentalità positivo, che perduri anche dopo che questa crisi sarà passata». —
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