Da stalle ad agriturismi: si fa formaggio e si cucina

Chi ha iniziato da bambino, chi come scelta di vita dopo aver fatto altri mestieri: i racconti di Tiziano Crepaz, Alessandro e Deborah, Federico Dai Prà e De March



«Vuoi sapere come è successo? Mio padre mi ha detto: vuoi andare in malga? e io gli ho risposto: sì».

Tiziano aveva 11 anni, quando ha fatto la sua prima stagione a Mondeval: «Stavamo fuori al pascolo tutto il giorno e mungevamo 80 vacche in due». Tiziano Crepaz oggi di anni ne ha 33, e da due gestisce l’azienda agricola che ha rilevato dal padre a Valt, Falcade, insieme a malga Ai Lach, 500 metri più su.

TIZIANO CREPAZ

Dopo anni in giro per l’Italia, prima a fare disgaggi e poi come capocantiere di un’impresa boschiva, ha deciso di tornare a casa: «Mi scocciava che mio padre avesse fatto tanto e andasse tutto abbandonato. E poi il lavoro che facevo, che pur mi piaceva, mi teneva in giro per settimane, e io volevo stare con i miei figli».

Di figli oggi ne ha tre, Tiziano: uno di 9, uno di 6 e uno nato da meno di un anno, una sera di ottobre. «Mia moglie l’ha portata giù mia sorella, io sono arrivato finita la mungitura». Il bambino lo ha aspettato, per nascere.

Lavorare con le bestie comporta sacrifici – sacrifici che paiono di altre ere, di un mondo ormai scomparso. Mungere, tutte le mattine e tutte le sere, alzarsi prima dell’alba, «non poter andare una settimana al mare con i boce».

ALESSANDRO E DEBORAH

Eppure, c’è chi la sceglie, questa vita stanziale per forza, e assieme però anche liberissima, perché lontana anni luce dalle opprimenti otto ore nel capannone di un’occhialeria, e all’ombra luminosa solo di larici e crode cangianti. E non sono solo i malgari da una vita, a continuare a fare formaggio nelle terre alte.

A Zoppè di Cadore, Alessandro Ciriani e Deborah Del Favero hanno preso in affitto una struttura poco sopra il paese, tre anni fa, e ci vivono tutto l’anno, assieme alle loro bestie – vacche e cavalli, asini, cani.

«La stalla ci abbiamo messo un mese a pulirla, ed eravamo in tre. Poi abbiamo preso in mano la casa, per poterci vivere, e per ultima la sala». Ora sarebbe il turno del tetto, ma è un investimento grosso: pian pianino, inverno dopo inverno, stanno sistemando un po’ tutta quella che è diventata malga Livan.

Le vacche hanno ciascuna un nome e una storia, che Deborah – giovanissima – è felice di raccontare. Dormono in stalla, la mattina si svegliano bramose ed escono nei pascoli attorno alla malga, e fin sotto il paese. «Le nostre vacche mangiano solo erba e fieno, – ci tiene a puntualizzare Deborah – niente integratori. Il pascolo di anno in anno si arricchisce, crescono fiori che fin prima non c’erano: la scorsa estate ciuffi di dente di cane, bianchi, mai visti prima».

E anche il formaggio cambia con il pascolo, si arricchisce di aromi, ogni giorno si fa scoprire diverso. In effetti, a malga Livan si mangia uno Stravecchio eccezionale – preziosissimo, per una realtà che fatica a fare cantina, e vende quasi tutto quel che produce quasi subito.

C’è chi arriva qui e pretende – formaggio di cavallo, «e ci resti come un caco», o un piatto di spaghetti all’amatriciana. «Ma se avessimo voluto far cucina avremmo aperto un ristorante, e invece la priorità per noi che siamo malgari è il benessere delle bestie, la qualità del formaggio».

Alessandro e Deborah fanno formaggio tutto l’anno, estate e inverno. E se sotto stagione si dorme poco, «col freddo c’è più tempo per noi», e d’inverno si riesce a sperimentare anche altro, lo stracchino, il mascarpone. .. Ma questa vita di altitudine, levatacce e riscaldamento a legna non pesa, perché è la vita scelta.

Federico Dai Prà, invece, d’inverno torna a valle, a Taibon. Le estati le passa ormai da più di 10 anni a malga Pramper, che gestisce assieme ai genitori.

FEDERICO DAI PRà

La malga è tappa obbligata per chi sale al rifugio Sommariva al Pramperet da Forno di Zoldo. Il silenzio quassù è reso più denso dai campanacci delle vacche, sparse tra prati e abeti, dal gorgoglio del ruscello e dal ronzio delle api – poco sotto la malga c’è un asilo colorato per api regine.

Si sentono certo anche i turisti: ne passano a migliaia, durante un’estate. Le mucche invece sono solo una ventina: di più non sarebbe possibile portarne, “ci scapperebbero in cerca di cibo”, perché il pascolo è contenuto, divorato dal bosco negli anni dell’abbandono. «Pensare che alla fine degli anni ’60 venivano su anche con un centinaio di bestie»: oggi invece Federico sale con le sue sei mucche, più una quindicina di bestie di piccoli agricoltori dell’Agordino.

Su a malga Pramper si cucina: la cuoca è la mamma di Federico, che prepara di tutto, e specialmente il piatto della malga: polenta, pastin, schìz e tocà da boia, “una cremina di formaggio fuso e farina da polenta, super”.

VALENTINO DE MARCH

Anche a malga Stia, sopra val di Gares, si cucina, e da parecchio. Se, nel tempo, alcune malghe storiche si sono reinventate anche come agriturismi, e oggi offrono piatti vari oltre ai classici taglieri, malga Stia ha sperimentato un percorso inverso.

Quando Valentino De Martin – classe 1981 – l’ha presa in gestione, 12 anni fa, la malga era sviluppata solo a pascolo, non era produttiva. Il formaggio ha cominciato a farlo nel 2016, e da allora il suo agriturismo in quota offre piatti in larga parte creati con prodotti a chilometro zero. “Gli ultimi anni sono stati i più belli. Perché guardare il tuo formaggio trasformarsi, girarlo, lavarlo, è una gran soddisfazione. Lo prendi in mano più delle legne, il formaggio. Ed è incredibile quanti piatti puoi realizzare a partire da un litro di latte».

Valentino d’inverno fa il maestro di snowboard a Falcade e d’estate è casaro e cuoco in un luogo magnifico, questa conca ex vulcanica in cui la dolomia delle Pale si fa roccia nera: «Le fioriture qui sono speciali. Non a caso la malga era famosa per il suo burro, giallo di betacarotene, saporitissimo».

All’inizio non ne sapeva nulla, di agriturismo, poi si è appassionato, e «a vederla dal punto di vista del cuoco, invece che del malgaro in senso stretto, cucinare non è che un altro modo di valorizzare il tuo prodotto. In Trentino lo yogurt che ti vendono in malga non è fatto in malga. Qui da noi, sì: dobbiamo solo imparare a venderlo, far sapere quanto è buono, e perché è così buono». —



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