«Così volete il ritorno del doge»
Ruffato e i consiglieri da tagliare. Poi ammette: «Siamo indifendibili»

L’aula del consiglio regionale veneto
VENEZIA.
Un uomo, un gagliardo, un campione della Casta che abbia il coraggio, esca dai ranghi e dica: difendo il mio ruolo, il lavoro che faccio e la funzione che svolgo, rappresento la democrazia e mi merito lo stipendio che prendo. Ecco quest'uomo non si trova e, comunque, non è il presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato che, da noi stanato e incitato alla pugna, si schermisce, indietreggia così spiegando la diserzione: «Sono il presidente del consiglio regionale». Appunto, diciamo noi, e se non li difende il presidente i suoi colleghi, chi lo deve fare? «Non posso farlo, forse non devo, sicuramente non so quanto sarebbe credibile la mia difesa. Qualsiasi cosa dica suonerebbe Cicero pro domo sua». Vero, ma Marco Tullio Cicerone, con la sua celebre orazione, convinse i «pontefices» (i suoi giudici) e ottenne il risarcimento della casa sul Palatino ingiustamente demolita dallo Stato. Clodovaldo potrebbe dunque provarci, spiegare, convincere. Non lo fa. Eppure la sua e quella dei suoi colleghi politici è una situazione ciceroniana.
La loro casa, i loro uffici, con tutti gli arredi della politica e i fasti del rango sono sotto schiaffo inseguiti da un'opinione pubblica che sta demolendo quella casa, che se non abbattuta vorrebbero almeno cambiargliela in un più modesto appartamento popolare. «E' comunque difficile argomentare, ci è arrivata addosso un'onda incontenibile, innescata da motivi diversi e cavalcata dai mass media, a ragione. Penso che sia inevitabile e anche che sia giusto. Voi pubblicate sul giornale gli stipendi percepiti dai consiglieri e dagli assessori nel mese di gennaio come fosse uno scandalo. Non voglio controbattere, potrei dire che sono inesatti, che non sono quelli veri ma solo proiezioni elaborate alcuni mesi prima. Non lo faccio e non lo voglio fare. Tanto sarebbe inutile e controproducente. Se solo accenno ad una difesa faccio peggio. Quindi sto zitto». «C'è una faccia della medaglia», prosegue Ruffato, «di cui vorrei parlare e che non viene fuori, voi certo non vi affannate a mostrarlo, esibite solo il lato esecrabile. Eh no, gliel'ho detto, non la chieda a me l'orazione, non sono io quello che deve illustrare la faccia buona, necessaria e imprescindibile della nostra pur imperfetta democrazia. Però le posso dire questo: se passa davvero l'idea che 60 eletti non servono a niente, che questa gente passa il tempo a incassare guarentigie, allora tanto vale tornare al Doge e al consiglio dei Dieci». Bene, se non abbiamo un prode si chiami un temerario allora e se non un temerario almeno uno sconsiderato, tenendo a mente che il nome di Clodovaldo nell'antico tedesco vuol dire «sovrano famoso» mentre il nostro viene dalla gens latina e significa «cortese». Sergio Reolon dunque, consigliere Pd, ex presidente della provincia di Belluno e politico di lungo corso. L'uomo, adeguatamente provocato, non si tira indietro. «La politica ha aggiunto privilegi a privilegi, in periodo di vacche grasse, quando ce n'è per tutti, va bene, nessuno se ne accorge. Oggi che stiamo come stiamo il malcontento è comprensibile. E questo è il primo motivo dello scatenamento. Il secondo è che la politica in questa fase di vacche magre non dà risposte né offre soluzioni, quindi è vissuta in maniera ancora più ingiusta per quello che si prende». «Detto ciò», prosegue l'ex presidente della Provincia di Belluno, «dico anche che sparare ad alzo zero contro i politici non fa altro che preparare la strada a un altro Cavaliere. Un Cavaliere c'è da 15 anni e non ha dato risposte. C'è voglia di sangue in giro, è partita la caccia alle streghe, dagli al politico. Io non vi partecipo. E' il cittadino comune che ha bisogno della politica, i danarosi e i potenti se la fanno da soli e non hanno bisogno di rappresentanza. Anzi, quando si fanno sentire sono guai, squilibrano la società, la funzione della politica è proprio quella di riportare in equilibrio quello che loro sbilanciano a proprio favore. Voglio dire che è giusto incazzarsi con i costi della politica, ma sbagliato, anzi tragico, prendersela con i costi della democrazia». E così abbiamo cavallerescamente finito, con una postilla commerciale che il consigliere Sergio Reolon annota: «Vi sembrano troppi 10 mila euro al mese? Chi lo pensa confonde il ricavo con il guadagno. Chiedere a un commerciante se sono la stessa cosa. Io spendo tutto andando su è già da Belluno, tengo aperto un ufficio per gli elettori. E poi anche la campagna elettorale costa. C'è chi ha fatto debiti per essere eletto».
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