Col dei Bof, vitigno produttivo entro il 2025

L’obiettivo della Fondazione è sviluppare il sito e la presidente Martire vuole presentare la richiesta in Regione

Francesca Valente

seren del grappa

La fondazione Val di Seren e il Cantiere della Provvidenza sono separati da 46 chilometri e mezzo di strada, accomunati dalla stessa presidente e uniti da una località simbolo della sperimentazione e dello sviluppo agricolo in chiave sociale e imprenditoriale: si tratta di Col dei Bof, diventata il crocevia della sinergia che unisce da anni Veneto Agricoltura con la cooperativa bellunese e la fondazione serenese.

Venerdì nella località valligiana si è svolto il primo incontro fra alcuni vertici dell’ente regionale e una parte del nuovo consiglio di amministrazione della fondazione, per parlare di come gestire il vigneto sperimentale resistente appena ereditato che dal 2014 si aggrappa sui declivi della valle di Seren a 700 metri di altitudine e che tra dieci o vent’anni non sarà più come una coltivazione eccezionale, visto che i cambiamenti climatici potrebbero rendere più favorevoli le condizioni di quelle altitudini.

C’è di buono che questi cambiamenti potrebbero mettere la provincia di Belluno in situazione di vantaggio rispetto al resto del Veneto, trasformandola in un potenziale distretto vitivinicolo in media quota, non tanto seguendo il modello del prosecco trevigiano quanto un percorso di recupero e valorizzazione delle varietà autoctone già tracciato, puntando nel frattempo a eliminare la classificazione di quelle resistenti come “ibridi” , per potervi ricavare in futuro anche vini Doc. Senza contare il fatto che zone come Col dei Bof, per quanto scomode periferiche, sono ancora del tutto incontaminate.

Ci sono però difficoltà intrinseche come la lavorazione in quegli spazi e quote, sommate agli eventuali costi per intraprendere nuove edificazioni, come la costruzione di una cantina di trasformazione in loco. La valle di Seren poi è una zona facilmente soggetta alla grandine, che in un colpo solo ha la capacità distruggere il raccolto di un’intera stagione, come peraltro è accaduto due anni fa.

Ma questo non spaventa Tiziana Martire, da due settimane presidente anche della fondazione serenese, che ha già anticipato come ci sia «tutta l’intenzione di fare un’apposita richiesta alla Regione per convertire il vigneto da sperimentale a produttivo prima della fine del progetto», previsto nel 2025.

Una prospettiva allettante per Veneto Agricoltura, che nel Cantiere ha trovato a suo tempo un partner unico nel suo genere, al quale sta per affidare la gestione dell’azienda pilota e dimostrativa di Villiago, non tramite un contratto di affitto ma con il mandato di contribuire in modo fattivo all’innovazione delle sperimentazioni su fauna e flora già avviate tramite il progetto “Bionet” per la salvaguardia delle quattro specie di pecora venete e di meli antichi, senza escludere nuove opportunità di sviluppo.

«Nel 2017 c’è stato un incontro con l’allora dirigente di Veneto Agricoltura Alberto Negro, il quale era stato sollecitato proprio da Martire a restare in gioco e a collaborare attivamente con il Cantiere», ricorda Giustino Mezzalira, direttore dell’area ricerche di Veneto Agricoltura, quella che si sta occupando proprio di selezionare le varietà resistenti migliori per Col dei Bof. «Quel che stanno facendo come investimento sulle persone e l’ambiente è qualcosa di unico in Veneto e siamo ben felici di poter contribuire allo sviluppo di questa realtà» che simpaticamente il vicepresidente Angelo Paganin ha riassunto come «le tre “V”: Villiago, Val di Seren e presto anche villa Zuppani»

Assieme a Mezzalira erano presenti anche Michele Giannini, dirigente del settore centri sperimentali, e Stefano Soligo del CerVeg (Centro regionale per la viticoltura, l’enologia e la grappa). È stato un primo incontro e visto il clima e i temi messi sul tavolo, non sarà sicuramente l’ultimo. —



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