Caso Franceschi: ricorso in Cassazione

CORTINA. Ricorso in Cassazione: sarà la Suprema corte a decidere se il sindaco Andrea Franceschi deve restare in “esilio” (come lui dichiara di essere) o se potrà tornare sotto il “tetto coniugale” e risparmiare sulle spese dell’hotel dove è confinato a San Vito.
La difesa di Franceschi (gli avvocati Antonio Prade e Gaetano Pecorella) ha presentato ricorso contro il divieto di dimora disposto in seguito all’indagine che vede il sindaco accusato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, violenza privata e abuso d'ufficio.
I motivi? I legali fanno perno su presunti “errori”, a cominciare da quelli di applicazione delle norme che impedirebbero l’applicazione di misure interdittive su un sindaco eletto con investitura popolare, per evitare l’attività nel suo Comune e il pericolo di reiterazione del reato. Il provvedimento era stato disposto per la presunta condotta di Franceschi e il rischio che continuasse a violare la legge nello svolgimento delle sue funzioni: dunque, andava allontanato dagli uffici, secondo i giudici. Ma il solo pericolo di recidiva, secondo la difesa (che cita altri casi finiti in Cassazione), non è sufficiente a vietare a un indagato di accedere agli edifici dove svolge la sua attività: non bastano ipotetiche occasioni o congetture, piuttosto vanno forniti elementi concreti di recidiva.
Secondo: si contesta il tempo in cui il reato sarebbe stato commesso. La norma contestata a Franceschi è entrata in vigore il 7 settembre 2010 e abbraccia il contenuto dei bandi di gara. Per la difesa, i rilievi antecedenti a quella data non sono da considerarsi un reato (come da vecchio articolo di turbativa d’asta). E chiede, la difesa, se l’ipotetico “accordo collusivo” (tra Franceschi e Sartori) preceda o meno il 7 settembre 2010, e se le condotte del sindaco fossero dirette a favorire Sartori o a tutelare l’interesse della pubblica amministrazione.
Per la difesa la “promessa collusiva” (appalto rifiuti a Sartori che garantirebbe il suo pacchetto di voti), alla quale si riferiscono alcune mail di testi d’accusa, risalirebbe al 2008, epoca in cui i fatti non erano previsti come reato. Di più: la delibera in questione data 24 agosto 2010.
Per le accuse seguenti, la difesa spiega che Franceschi è intervenuto in soli due casi sulla funzionaria: perchè correggesse il bando e manifestando dubbi sull’importo, iscritto in misura inferiore, ma non come indicato dalla giunta (ancora più basso).
Alla fine saranno tre i bandi per i rifiuti (l’ultimo del 28 gennaio 2011) e la funzionaria amministrativa, come da determinazioni accusatorie, inserirà autonomamente nel capitolato requisiti che Sartori non aveva, come l’aver svolto analoghi servizi rifiuti in comuni montani. E resistendo a presunte pressioni.
Per la difesa, invece, sarebbe stato il sindaco a evidenziare che il bando predisposto in maniera autonoma dal funzionario avrebbe “favorito” imprenditori locali, come Sartori, dal momento che si chiedeva il requisito dell’aver svolto il servizio in montagna per altri enti e un ammontare di 248 mila euro.
Una verità “opposta” a quella dell’accusa - sostiene la difesa - con fatti che garantirebbero il comportamento oggettivo del sindaco: Franceschi non divise la gara in due, come suggerito da Sartori, non diede seguito all’indicazione di prezzo proveniente da Sartori e criticò il requisito inserito dalla funzionaria, che firmava in autonomia i bandi. «Come può esserci reato con questa condotta?», si chiedono Prade e Pecorella, che aggiungono come il Riesame non abbia letto questi rilievi.
Quanto alla presunta collusione e a incontri con “tagli” collusivi dai quali era stata esclusa la funzionaria, si tratterebbe di mera “presunzione”. E si citano direttive europee che non vieterebbero “dialoghi tecnici” nel periodo antecedente l’avvio di una procedura di appalto.
E se «l’asserito accordo collusivo non riusciva» a modificare il bando (come si dice nel capo di imputazione, laddove si parla di condotte “non foriere dei reali effetti voluti”), «dov’è allora il reato?», chiedono i difensori. Confuse, infine, vengono definite le determinazioni del Riesame sul punto.
Capitolo a parte: le intercettazioni. «Prove illegali» le definisce la difesa: «autorizzate per diversa notizia di reato e fatti eterogenei e non connessi tra loro».
Palla alla Cassazione, quindi: si profilano 3 o 4 mesi di attesa.
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