Cai, nello statuto le ragioni del «no»

Bertan e i suoi rispondono a Trevisan: «Non c'è ragione che si stupisca»
L’attuale ski area di San Vito
L’attuale ski area di San Vito
 
SAN VITO.
I vertici regionali del Cai ribadiscono la contrarietà al collegamento San Vito-Civetta e puntualizzano la propria posizione anche in merito alle dichiarazioni di Gildo Trevisan, presidente di Federalberghi, che si era detto stupito del loro atteggiamento. «Normalmente», spiega il direttivo del Cai veneto presieduto da Emilio Bertan, «genera stupore ciò che sorprende per senso di straordinarietà o d'inatteso».  «Anche noi resteremmo fortemente stupiti se Treviasn si dichiarasse contrario agli impianti di discesa. La sua espressione di stupore nei nostri confronti può anche essere legittima, ma forse non è del tutto fondata, almeno se si conoscono i principi del Club Alpino Italiano. Il nostro statuto, da molti anni, e ormai siamo prossimi a compierne 150 dalla costituzione, dice in maniera molto chiara che il CAI ha per scopo l'alpinismo, la conoscenza e lo studio delle montagne e la difesa del loro ambiente naturale. Si può prenderne visione in qualsiasi momento, basta aprire il nostro sito centrale (
cai.it
) e cercare il documento; e, dato che ci siamo, se si ha ancora un po' di tempo a disposizione, si può leggere anche l'articolo 1 che, in maniera più dettagliata, descrive le funzioni e le attività della nostra associazione. Alla lettera i) si troverà che noi operiamo per salvaguardare le zone d'interesse alpinistico o naturalistico».  
Il primo timore del Cai, se dovesse nascere il collegamento, è la perdita del riconoscimento Unesco dato alle Dolomiti nel 2009?  
«L'Unesco», sostengono Bertan e i suoi, «ha dichiarato le Dolomiti patrimonio dell'umanità per la qualità dei suoi paesaggi e della conservazione ambientale; non tutte le Dolomiti, però. Temiamo che il progetto di collegamento sciistico rimetterà in discussione il riconoscimento e la certificazione appena ottenuti. Poco male, si dirà: con le piste si mangia e con l'Unesco no. Forse a ragione, certamente nell'oggi, nell'immediato; ma domani le condizioni potrebbero cambiare; cambiano i gusti, le passioni, le mode. Un modello di pianificazione economica imperniato sul turismo delle piste potrebbe tramontare e travolgere, nel crollo di una monocultura, le comunità che vi si sono affidate. Pare un luogo abbastanza comune, ma pur sempre veritiero e tutt'altro che smentito, il fatto di pensare invece l'ambiente come un bene da tutelare, da trasmettere il più integro possibile alle generazioni che verranno dopo di noi».  
Siete contrari a priori a qualsiasi nuovo impianto di risalita?  
«No», rispondono dal Cai, «non vogliamo essere fraintesi. Non siamo così integralisti da essere contrari, per principio, agli impianti di risalita. La maggior parte dei nostri 315.000 soci ne fanno uso; qualche bella discesa la condividiamo tutti, almeno quelli che sanno sciare. Se non demonizziamo il business degli skipass, anzi al contrario comprendiamo che un certo tipo di turismo invernale vive anche degli impianti di risalita, ci preoccupiamo invece quando vediamo proliferare in maniera abnorme i tralicci e gli sbancamenti che, spero non si voglia negare, snaturano un po' della bellezza originaria della montagna. Siccome a noi, che siamo rocciatori, escursionisti, ciaspolatori, scialpinisti la montagna piace di più quando la troviamo nelle sue condizioni naturali, ci permettiamo di esprimere un'opinione di dissenso su un intervento certamente invasivo. Probabilmente le piste si faranno lo stesso», concludono Bertan e i membri del direttivo del Cai veneto, «a prescindere dalla nostra opinione; verrà insomma utilizzata la montagna come meglio si ritiene nei territori interessati e noi andremo da un'altra parte, dove si possa trovare un ambiente che meriti questo nome. Pazienza: la vita va così».

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