Boom di dimissioni nel Bellunese: dal 2021 oltre 12 mila dipendenti se ne sono andati
Il settore più in crisi quello sanitario secondo lo studio della Cisl. Paglini: «Serve un piano straordinario per l’occupazione e la montagna altrimenti rischiamo la desertificazione»

Dimissioni dal lavoro per cercare condizioni salariali ma anche di vita migliori. Sono questi i motivi che hanno spinto nel 2021 quasi ottomila bellunesi a lasciare il proprio impiego e sono quasi cinquemila quelli che se ne sono andati nei primi sei mesi del 2022. Dalle grandi dimissioni all’abbandono silenzioso: il fenomeno è scoppiato durante la pandemia anche se era già presente anche prima.
«Diciamo che il Covid ha fatto da acceleratore», commenta Massimiliano Paglini, segretario della Cisl di Belluno che ha commissionato ad alcuni ricercatori uno studio proprio per inquadrare il problema.
Su un campione di 750 lavoratori che sono stati intercettati nei Caf, Francesco Peron e Stefano Dal Pra Caputo hanno estrapolato i risultati di un cambiamento di mentalità soprattutto evidente tra gli under 35.
«Quello che cercano i lavoratori in generale è un salario più alto, ma anche flessibilità degli orari, possibilità di percorsi di crescita in azienda e maggior tempo libero. E se non trovano queste condizioni cambiano posto di lavoro», dicono i due ricercatori.
Partendo dal presupposto che il 42% degli intervistati a Belluno lavora nel manifatturiero, e che l’85% ha un contratto a tempo indeterminato, risulta che il 70% però degli under 35 ha un impiego fisso. Inoltre emerge che sono le donne ad avere un lavoro con orario molto ridotti frutto del part time. E se un giovane su quattro lavora anche la domenica soprattutto nel settore delle ricettività e della sanità e assistenza sociale, questo non significa che il lavoro festivo sia così gradito. Anzi il 70% dei giovani preferirebbe non lavorare la domenica. Ed è anche per questo motivo che il 15,6% dei giovani ha già cambiato lavoro mentre il 47% vorrebbe cambiarlo nei prossimi 12 mesi.
«Il fenomeno dell’abbandono del lavoro è già partito anche in provincia di Belluno», dichiara Paglini, «questo testimonia una grande trasformazione nel modo in cui ci si approccia al mondo del lavoro o si sta al lavoro e non solo tra i giovani. Il lavoro non è più visto come fine unico e totalizzante, ma diventa strumento che deve convivere con altri aspetti della vita. Per questo i giovani soprattutto cercano una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, flessibilità degli orari, possibilità di carriera, ma anche di formazione. E se non diamo una risposta in tempi brevi a queste richieste, rischiamo che questo territorio si trovi sempre più povero di manodopera»
Un esempio sono i lavoratori della sanità che nel sondaggio hanno dimostrato di essere quelli tra i più insoddisfatti del loro lavoro. «I giovani ormai non sono più disposti ad accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi costo e sono veloci nel cambiare se le condizioni diventano insopportabili. Dall’altra parte i meno giovani ridimensionano una sorta di abnegazione al lavoro attraverso il quiet quitting, cioè l’abbandono silenzioso, la disaffezione al posto di lavoro», precisa Paglini che chiede per la provincia di lavoro un piano straordinario dell’occupazione e della montagna «vale a dire servizi sociali, infrastrutture e anche abitazioni per attirare le persone e soprattutto un cambio di mentalità che porti a realizzazione l’articolo 46 della Costituzione che prevede il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese e degli obiettivi che porterà indiscutibilmente ad un aumento del salario. Ma questo va fatto in tempi brevi, altrimenti la montagna sarà abbandonata».
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