Belluno, morto l’alpinista Franco Miotto protagonista di grandi scalate
BELLUNO. L’alpinista Franco Miotto se n’è andato, contemplando fino agli ultimi giorni le sue amate montagne dalla finestra della sua camera. Classe 1932, Miotto è stato uno dei grandi protagonisti dell’esplorazione verticale sulle Dolomiti, con all’attivo tantissime prime in provincia: dalla Schiara e il Burèl, in compagnia dell’alpinista Riccardo Bee, allo Spiz di Mezzo, la parete sud-ovest del Pelmo, i Monti del Sole, le Pale di San Lucano, la parete nord-est del Col Nudo e tantissime altre.
«Quello che mi lascia Franco è un enorme vuoto», commenta l’alpinista Tito De Luca, che ha frequentato per anni la montagna insieme a Miotto, «lo stesso vuoto che può lasciare solo un grande amico o un fratello maggiore con il quale non ho mai sentito alcuna differenza d’età».
«Di Franco mi hanno sempre colpito l’amore per la montagna, come non l’ho mai visto in altre persone, e la straordinaria memoria per i passaggi delle vie che aveva fatto e aperto, freschissima anche in età avanzata», ricorda De Luca, «spesso, tornando da qualche escursione, ci fermavamo attorno al larin della locanda La Stanga ed era una gioia ascoltare i suoi racconti di quando da giovane saliva in montagna come cacciatore e dei tempi più recenti, quando dai 40 anni in poi ha saputo dare il meglio di sé come alpinista in solitaria o in compagni di altri grandi, tra i quali Mauro Corona».
Miotto ha sempre continuato a praticare sport, ad andare in bicicletta e in montagna: «Gli ultimi anni in cui la sua condizione fisica non gli permetteva più di coltivare le sue passioni sono stati sicuramente i più difficili per lui, che continuava a contemplare il Pizzocco (del quale ha affrontato la parete più difficile) e le altre cime dalla sua finestra», continua De Luca, «mi piace però ricordarlo quando durante le ripetizioni delle sue vie, fatte ad anni di distanza da giovani alpinisti, lui li accompagnasse con piacere fin sotto la parete, seguendoli poi con il binocolo per paura che si facessero male e aspettandoli al ritorno per festeggiare assieme l’impresa.
Voleva sempre farsi raccontare dei segni rimasti nella roccia dal suo primo passaggio e ricordo che spesso chi tornava raccontava delle notevoli difficoltà incontrate, nonostante avesse potuto contare su un’attrezzatura ben più moderna e una più giovane età, dato che Franco aprì molte vie a oltre cinquant’anni».
Una forza straordinaria che ha accompagnato Miotto fino in tarda età: «La forza delle braccia e del cuore di Franco era impressionante, anche quando non era più un ragazzino», prosegue De Luca, «ricordo un passaggio molto difficile affrontato con lui lungo un “viàz” nuovo sul monte Coro nel quale non volle usare alcun cordino, tanta era la sicurezza con la quale sapeva muoversi, dettata dalla sua forza fisica, dall’esperienza e dall’equilibrio straordinari dei quali era dotato».
Ma non sono solo le imprese alpinistiche a raccontare la tempra e la grande caratura del personaggio: «Molti non sanno che era anche un eccellente artista e intarsiatore nel legno, una manualità che si allargava anche alla lavorazione del ferro e dell’acciaio, con i quali produceva lui stesso i chiodi da utilizzare durante le scalate; compresi degli appigli particolari per micro fessure che non esistevano nemmeno quando li inventò». —
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