Baldovin, professione prendersi cura dei defunti

Mattia Baldovin ha 29 anni; è originario di Pieve di Cadore e di mestiere, un lavoro che peraltro ama moltissimo, fa il tanatoesteta. Basta tradurre il greco “thanatos” con l’italiano “morte” per capire di cosa si tratta: detto malamente, si prende cura dei morti, anche se il suo lavoro non si ferma certo qui. Perché attorno a un lutto, anche il più tragico, c’è un percorso spesso sottovalutato che lui vuole perfezionare, per rendere la perdita meno drammatica e più serena, ovviamente per quanto possibile. La sua professione però, o almeno quella che sogna di praticare anche qui nel Bellunese, non è riconosciuta a livello nazionale, diversamente da altri Paesi dove il ruolo del tanatoesteta, assieme a quello delle agenzie funebri, è impostato e riconosciuto diversamente.
L’AVVIAMENTO
«Ho iniziato questa professione praticamente per caso: stavo per concludere una stagione di lavoro in un’occhialeria ma non volevo fermarmi là. Cercando lavoro per mantenermi gli studi in Scienze agrarie, ho trovato un posto in un servizio di pompe funebri. Ovviamente ero completamente estraneo alla professione ma ho ricevuto una preparazione esemplare, che faccio fatica a ritrovare in tanti corsi e che ancora oggi uso, valida ancora a distanza di tanti anni».
Mattia alla fine non è riuscito a laurearsi, ma a quel punto aveva già scelto a cosa dedicarsi, con la voglia di cambiare impresa ogni anno per capire tutti i segreti del mestiere. Dopo l’Emilia è stato in Toscana, ora è stabile in Veneto ormai da tre anni, ma sempre in movimento.
LA MOTIVAZIONE
Tanti si chiederanno che cosa può spingere una persona, soprattutto un giovane, ad amare un lavoro come questo? «Ti appassioni al pensiero che la tua professionalità, fatta anche di cura e rispetto, possa lasciare qualcosa di buono agli altri. Non c’entra la carriera: questo lavoro dovrebbe essere fatto di intimità, di delicatezza, soprattutto di amore. Non è certo un mestiere da tutti e, allo stesso tempo non è solo un lavoro: nemmeno il medico o lo psicologo possono farlo bene da soli. Serve preparazione mentale e fisica, ma bisogna anche dedicarcisi personalmente e nessuna scuola», afferma convinto Mattia, «nessun corso possono dartela. Io avevo paura dei funerali», ammette candidamente, «da piccolo andavo in chiesa a fare il chierichetto e mi angosciava vedere la bara».
LE PRIME VOLTE
Le prime volte sono state logicamente particolari anche per una persona “predisposta” come lui. «La prima persona che ho preparato è stata una nonna di 95 anni. Quando l’ho vista mi ha ricordato la mia bisnonna mentre a tavola ridevamo e scherzavamo, ma in quella situazione c’era un’esigenza diversa. L’ho trovata subito una cosa dolcissima, che mi ha fatto capire l’importanza dei gesti fatti nel modo giusto e nei momenti giusti. Io lavo e pulisco sempre la persona, perché è un gesto che le restituisce dignità, anche se non tutte le strutture lo fanno o lo permettono», sottolinea laconico. «Voglio entrare in sintonia con le persone e le loro famiglie, ma ormai sono pochi gli operatori funebri o sanitari che si fermano a parlare con chi ha subito un lutto, anche se è una consulenza professionale che andrebbe data sempre, secondo le necessità di chi la riceve».
L’ASPIRAZIONE
Dopo quasi dieci anni di esperienza, Mattia è pronto a tornare a lavorare nella sua terra, dove il contatto con la morte è più genuino, per non dire tradizionale. «Il nord del Veneto è un’eccellenza in questo settore: ci sono imprese attente e a livello nazionale ci sono già piccole pompe che adottano tecniche e servizi da dare alla famiglia prima e dopo, anche dal punto di vista psicologico, non solo burocratico. Ma il contesto italiano è difficile: sono anni che non vengono aggiornate le leggi in materia funeraria e ci sono aspetti ancora non regolamentati, come le ispezioni o i controlli di qualità. In Veneto basta un corso dalle 15 alle 24 ore per aprire un’agenzia quando bisognerebbe imporre corsi di formazione e aggiornamenti continui». Non a caso la cronaca regionale parla di scandali anche nel settore funerario: «Chi specula sui morti merita di vedersi chiudere l’agenzia», denuncia. Ma sono molti altri gli aspetti controversi che andrebbero ritoccati: «Le strutture sanitarie, come anche gli obitori, dovrebbero essere provviste di una sala pubblica laica di commiato, aperta per la sosta e la cura delle salme. Le gestiamo così per un problema culturale. Ci stiamo evolvendo dimenticando la tradizione della cura del morto: 70 anni fa i bambini crescevano con i nonni e, se mancavano in casa, partecipavano alla preparazione; oggi invece non vengono nemmeno portati al funerale». —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi