Alpinista muore in un crepaccio
E' scivolato davanti al compagno di arrampicata: era un tecnico del Cai

Renzo Mingardo qui a fianco A destra il tratto innevato dove l’uomo è scivolato percorrendo un tratto di alcune decine di metri prima di precipitare
BELLUNO.
Si stava allenando, assieme ad un compagno di arrampicata, per diventare istruttore nazionale del Cai. Renzo Mingardo, 56 anni di Mestre, ha trovato una morte beffarda, ieri pomeriggio, mentre scendeva lungo una variante della via "normale" dell'Antelao.
Mentre col compagno, pure lui del Cai, si apprestava ad attrezzare una corda doppia per superare un tratto piuttosto impervio, a quota 2700, Mingardo è scivolato sulla neve lungo un pendio per una ventina di metri ed è caduto, a testa in giù, in un buco scavato dall'acqua di una cascata, profondo sette-otto metri. L'impatto è stato fatale. L'alpinista mestrino è morto praticamente sul colpo. La lunga scia di sangue sulle Alpi italo-francesi, che ha segnato la giornata di ieri, non ha risparmiato nemmeno le montagne bellunesi. Ed ha scelto, come vittima, un esperto alpinista, membro della commissione tecnica del Cai di Mestre ed aspirante istruttore nazionale, il top dei "brevetti" a cui ambire per un appassionato di mantagna. Mingardo era arrivato a San Vito di Cadore all'alba di ieri, assieme ad un amico, compagno di arrampicata, pure lui del Cai di Mestre. Dopo aver lasciato la macchina a valle del rifugio Scottèr, i due alpinisti hanno iniziato l'arrampicata, lungo la via normale dell'Antelao, un'ascesa, secondo le qualificate guide alpine, "per esperti escursionisti con ottimo allenamento ed equipaggiamento". Un'arrampicata fatta di immensi lastroni, salti, cenge e passaggi in cresta esposti a strapiombi sullo sfondo di un panorama mozzafiato. Tutto è filato via liscio durante l'ascesa, per i due compagni di arrampicata mestrini. In meno di cinque ore hanno raggiunto la vetta, a quota 3264 metri. Sulla vetta, una breve pausa. Pochi istanti per gustarsi il panorama e decidere di scendere lungo la via Lindemann, una variante della normale dell'Antelao. Una decisione che risulterà fatale all'alpinista più anziano, 40 minuti più tardi. La tragedia avviene quando i due escursionisti del Cai di Mestre arrivano, infatti, a quota 2700 metri. In quel punto li attende un salto di roccia che si può superare soltanto attrezzando una corda doppia. È mentre si sta effettuando l'operazione, che i ramponi di Mingardo cedono sulla neve. L'alpinista fa solo in tempo a capire ciò che sta succedendo. Cerca disperatamente con le mani un abbrivio. Ma scivola per una ventina di metri, per poi finire, a testa in giù, in un crepaccio di ghiaccio, scavato dall'acqua di un nevaio, profondo 7/8 metri. L'impatto è fatale. Mingardo muore sul colpo davanti agli occhi del compagno di arrampicata. L'amico, nonostante lo shock, si attiva subito per allertare i soccorsi. Ha anche la sfortuna che in quel punto il cellulare non ha campo e deve scendere da solo di qualche decina di metri per riuscire a prendere la linea col 118. Gli uomini del soccorso alpino di San Vito e Pieve di Cadore e del 118 non hanno vita facile nel recupero della salma. Il crepaccio profondo e stretto dove s'immette l'acqua che si scioglie da un nevaio soprastante e le forti raffiche di vento che disturbano l'elicottero del Suem prolungano di qualche ora le operazioni. Soltanto nel tardo pomeriggio, l'elicottero del Suem, dopo essere stato dirottato per altri interventi, riesce a imbarcare la salma di Mingardo ed a trasportarla nella cella mortuaria di Calalzo. La vittima, titolare di un'azienda di Oriago, lascia la moglie e due figlie.
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