«Sparare ai lupi, specie ai più audaci». La Regione chiede deroghe all’Ispra

L’assessore Corazzari ha scritto all’Istituto affinché conceda questa opportunità nei territori di Alpago e Valbelluna
Francesco Dal Mas
Un esemplare di lupo che popola i territori della provincia
Un esemplare di lupo che popola i territori della provincia

La Regione ha chiesto all’Ispra di poter derogare alla protezione del lupo prevista dall’articolo 16 della Direttiva Habitat in modo da poter abbattere i carnivori in sovrannumero, a cominciare da quelli confidenti.

L’assessore Francesco Corazzari ha infatti scritto una lettera all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale affinché conceda questa opportunità in Alpago e in Valbelluna, per incominciare, dove le predazioni sono più numerose che in qualsiasi altra parte del Veneto.

Dall’Ispra arriverà una risposta positiva, come abbiamo potuto recentemente verificare. Considerando i dati alla mano. In provincia stazionano ormai tra i 18 ed i 20 branchi, con un numero di lupi che oscilla tra i 200 ed i 250, ma con le prossime nascite potrebbero salire a 300, secondo le stime di Paolo Zanetti, coordinatore dei 10 Distretti di caccia.

L’Ispra, una volta concluso il procedimento, dovrà chiedere l’autorizzazione al Ministero dell’Ambiente, che di solito tiene in particolare conto del sentimento popolare, ma che nel caso dell’Alpago sa ben che ci sono state negli ultimi anni, fino a tutto il 2023, ben 700 predazioni.

Sia alla direzione dell’Ispra che al ministero è particolarmente ascoltato, fra gli altri, l’alpagota Gianpaolo Bottacin, assessore regionale all’Ambiente. «Più di una volta mi sono svegliato con i lupi nel giardino di casa – testimonia – e l’ho riferito anche ai competenti uffici sia dell’istituto che ministeriali. E loro sanno bene che, in queste condizioni, non reggono nemmeno le misure di dissuasione. Bisogna passare a quelle del contenimento, esattamente come ha fatto la Provincia di Trento».

Corazzari si è basato, per avanzare quella richiesta di deroga, su dati precisi, dei suoi uffici e della cooperativa Fardjma che raggruppa una trentina di allevatori della pecora d’Alpago. Una razza antica di ben 1. 200 anni di storia, oggi presente con 2. 500 capi stanziali grazie agli allevatori «che io chiamerei custodi della biodiversità», sottolinea il presidente Zaccaria Tona. Il numero massimo di capi è stato raggiunto negli anni 60, sfiorava le 10mila unità.

«A fine 2023, le predazioni avevano già superato di gran lunga le 700 unità, pecore sbranate che certamente non possono essere sostituite, ma solamente rimpiazzate da nuove nascite (minimo 18 mesi). Non ultima, la predazione avvenuta a Bastia d’Alpago, tre settimane fa: 6 agnelli predati dal lupo in pieno giorno, nell’allevamento di Sebastiano Fullin. In cinque anni – ricorda Tona – abbiamo perso una quarantina di allevatori, passati da 100 a 60 unità».

Nel 2022 era stata redatta una mappa ben precisa del territorio in Alpago, da parte dell’Università di Padova, facoltà di agraria. Gli allevatori, con i loro micro-greggi pulivano 1. 400 particelle di terreni prativi, tutti appezzamenti che si trovano in pendii scoscesi, dove i mezzi meccanici non arrivano per lo sfalcio. Sempre in questo lustro temporale la fecondità della pecora Alpago è passata dal 95% al 65%, un calo decisamente forte, dovuto allo stress subito dalla presenza del grande carnivoro.

«Dopo una predazione, le pecore rimaste vive rimangono in un angolo tutte assieme per un paio di giorni, traumatizzate, senza brucare. Da un paio d’anni – aggiunge ricordo a ricordo il presidente – quelle stesse pecore, dopo aver partorito, perdono il latte nel giro di qualche giorno, per cui il piccolo è destinato a morire se non viene allattato dalla madre».

Quando il lupo entra in un recinto di solito preda dalle 5 alle 15 pecore, per poi cibarsi al massimo di 7 kili di carne: non esiste altro animale che sprechi così tanto cibo. «Va precisato che le carcasse depredate vanno poi conferite tutte all’inceneritore, pagando naturalmente». Il 95% degli allevatori sono hobbisti, tengono le pecore per tradizione, per passione, per tenere puliti i propri prati e pascoli. «È un’attività economicamente in perdita. Il nostro business core è l’agnello, il break-even point (il punto di pareggio fra costi e ricavi) calcolato su greggi che contano massimo 100 pecore è pari 31 euro al kg. La cooperativa commercializza questo prodotto di eccellenza a 14, 50 euro. Solamente il 5% degli allevatori è imprenditore agricolo, noi li possiamo contare su una mano 3 o 4: loro dispongono di una quindicina di cani a testa da guardiania, tipo maremmano».

Cosa sta succedendo alla cooperativa Fardjma? Nel 2023 le vendite sono calate del 16%, quest’anno le cose sono peggiorate. «Quest’anno, nel periodo pasquale, a metà dei nostri clienti abbiamo dovuto dire no. Ristoratori delle tre province di Belluno, Treviso e Venezia. Effetto diretto ed indiretto delle predazioni».

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