Milena Bertolini: «Il mio Dna da allenatrice di calcio»

La ex Ct azzurra allo Sport Business Forum racconterà perché ha deciso di dedicare tutta la sua vita al pallone
Lucia Anselmi
Milena Bertolini ex allenatrice della nazionale Italiana di calcio femminile qui col presidente Mattarella
Milena Bertolini ex allenatrice della nazionale Italiana di calcio femminile qui col presidente Mattarella

Milena Bertolini, campionessa italiana di calcio femminile  allenatrice, parteciperà a Sport Business Forum (Belluno Longarone Montebelluna e Cortina 11-15 settembre) come relatrice alla tavola rotonda «Donne e sport: promuovere la parità e l’eccellenza» insieme alla sua collega Elisa Camporese, alla campionessa olimpica di volley donne Monica De Gennaro (nazionale italiana e Imoco) e al presidemte di Imoco Volley, Piero Garbellotto. Modera la giornalista NEM Lucia Anselmi. L’incontro si terrà venerdì 13 settembre dalle 16.30 alle 17.45 al Palazzo dei Rettori di Belluno, la partecipazione è gratuita previa iscrizione a questo link.

Milena Bertolini ex allenatrice della nazionale Italiana di calcio femminile, riavvolgiamo il nastro della sua lunga carriera dalle panchine al campo da gioco e partiamo da quando era bambina e dava i primi calci al pallone, cosa ricorda di quei momenti?

«Mi ricordo un’infanzia bella, vissuta all’aria aperta nelle mie campagne emiliane, dove sono nata, trascorsa giocando per ore ed ore a calcio assieme agli amichetti e ai vicini di casa. Ero l’unica bambina, ma questo non mi pesava, anzi passavo tutto il tempo a divertirmi coltivando quella che era già la mia più grande passione»

Cosa è significato essere una calciatrice negli anni’80?

«Sono sempre stata mossa da una passione e da un amore così grande che, mi creda, i pregiudizi e le battutine li vivevo sullo sfondo. Certo non era piacevole sentirsi dire le solite frasi come: “maschiaccio” , “donna mancata” o “vai a fare i piatti” , ma le difficoltà più grandi per le calciatrici della mia generazione erano date da ostacoli ben più alti, come le prospettive legate al futuro e il doversi ritrovare a destreggiarsi tra il lavoro e la carriera sportiva, una condizione che, purtroppo, vivono ancora tante atlete in alcuni sport. Quello era davvero un aspetto complesso con cui confrontarsi».

Come riusciva a conciliare lavoro e carriera calcistica?

«È stato faticoso, anche se io non sentivo o non percepivo, diciamo così, eccessiva stanchezza perché ero mossa da questa voglia inarrestabile di giocare, perciò prendere la macchina e macinare chilometri per andare ad allenarmi alle 8 di sera non mi pesava. È chiaro, però, che per fare questo tipo di vita dovevi prendere delle scelte non facili a partire dalla ricerca di un lavoro adatto. Io mi sono buttata nello sport perché mi piaceva e mi permetteva di avere tempo per la mia carriera: ho allenato i bambini e le bambine facendo scuola calcio, ho fatto la commentatrice in una tv privata a Reggio Emilia, sono stata assessore allo sport nel comune di Correggio, la mia città, tutte attività elastiche dal punto di vista del potersi ritagliare spazio e che mi piacevano. Per altre mie colleghe, invece, non è stato così e davanti alla sicurezza di un impiego fisso si sono trovate costrette a lasciare la carriera ad alti livello optando per campionati minori o addirittura smettendo»

Si può dire che il passaggio da giocatrice ad allenatrice sia stato consequenziale?

«Ho sempre lavorato mettendo al primo posto il piacere di fare una determinata attività e non l’aspetto economico. Va da sé, quindi, che l’idea di diventare un’allenatrice sia sempre stata una parte naturale di me fin da adolescente. Ho studiato Scienze motorie, mi sono specializzata e pensi che quando ero calciatrice e mi trovavo a giocare in squadre lontane da casa, come Pisa, Verona, Sassari, magari facevo uno o due allenamenti con il gruppo, per via della distanza, e poi mi confezionavo le sessioni su misura. Anzi, mi scrivevo anche i report (ride). Sono sempre stata un’allenatrice».

Allenatrice, voglio partire proprio da questa parola perché lei ha fatto anche un’importante battaglia per un corretto uso del lessico all’interno del calcio, quanto è importante potersi appropriare dei termini e declinarli al femminile?

«Ho sempre pensato che fosse importante perché le parole definiscono i pensieri, perciò se continui a usare determinati termini alimenti un certo tipo di retaggio. Per esempio una volta era raro se non impensabile dire “sindaca” , mentre adesso è la normalità. Ci sono parole che fanno fatica a entrare nel lessico comune come portiera, uno pensa a quella della macchina, ma è solo inserendo termini e creandone anche nuovi che possiamo definire un pensiero corretto e inclusivo. Penso sempre a marcatura a uomo, una volta sentivo le mie calciatrici urlare “uomo” e allora dissi: “Scusate, ma perché dite così, io non vedo uomini in campo” . Alcune di loro rimasero un attimo spiazzate poi ne parlammo e capimmo che andava trovato un modo diverso per rinominare l’azione e io avevo adottato “marcatura individuale” , perché mi creda passa tutto da qui. Il calcio è ancora fortemente arroccato nella visione di uno sport prettamente ad appannaggio maschile, ma se non partiamo dalle basi e quindi, anche da un corretto uso del linguaggio, certi pregiudizi e certi schemi non cambieranno mai».

E’ stata la più longeva allenatrice della nazionale e con lei le azzurre sono tornate ai Mondiali dopo 20 anni in quell’indimenticabile Francia 2019

«Sono stati 6 anni bellissimi, fatti di gioie e dolori. Abbiamo vissuto momenti felici e anche tante difficoltà, ma questo fa parte del gioco. Quello che abbiamo raggiunto nel 2019 è stato un traguardo che finalmente ha riconosciuto non solo il mio lavoro e quello delle ragazze, ma di tutti quelli che ci hanno preceduto sia in panchina sia in campo. È da lì che siamo arrivati al professionismo ed è da quel momento che siamo riusciti a ottenere un risultato che avevamo inseguito e per il quale c’eravamo battuti di generazione in generazione».

È appena ricominciata la serie A e da esperta le chiedo quanto è cresciuto il calcio in questi anni

«È cresciuto, ma la strada è ancora lunga. Abbiamo 42mila tesserate contro i numeri duplicati di Inghilterra e Germania, per questo dobbiamo continuare ad andare avanti sostenendo sempre di più la crescita delle atlete. Le squadre si sono rinforzate molto, i campionati saranno presto riformati allargando il numero di partecipanti segno di una crescita importante. Mi aspetto molto da questo campionato, abbiamo tante squadre attrezzate e preparate e dico una cosa: occhio all’Inter, ha fatto un percorso importante, ha rafforzato la rosa e si candida a essere una favorita allo scudetto».

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