Zanini: «Alla Dolomiti gruppo solido ma voglio gente motivata»
Il nuovo tecnico Zanini si racconta:
«Ho incrociato Eriksson, Trapattoni, Cosmi. Tutti mi hanno insegnato qualcosa»

Le motivazioni dei giocatori che verranno scelti tra conferme e nuovi arrivi. La professionalità dell’ambiente, percepita quando ha avuto modo di incontrare il club e in ogni caso ereditata dalle tre precedenti società. Il passato da giocatore professionista cominciato nelle giovanili del Vicenza e proseguito tra Juventus, Sampdoria, Mantova, Pistoiese, Verona, Atalanta, Pescara, Monza, Como, Triestina, Napoli, Genoa, Ascoli e Vicenza, prima della chiusura tra Albignasego e Treviso. In seguito il percorso da mister, con la parentesi proprio al Treviso in Eccellenza e le giovanili di Real Vicenza e Vicenza.
Il biancorosso della sua città sono i colori del debutto in C nell’annata 2017-2018, archiviata con la salvezza ai playout contro il Santarcangelo. Poi quattro bei tornei in D sulle panchine di Este e Luparense, mentre l’ultimo campionato è un disastro a Sona ma quasi più per le mille problematiche societarie, al di là della retrocessione di fatto inevitabile. Peraltro nel segmento finale stava accadendo il miracolo, senza successivo lieto fine. Temi raccontati e sviluppati da Nicola Zanini, a cui la Dolomiti Bellunesi affida la guida tecnica in un 2023-2024 che di soddisfazioni ne dovrà dare molte di più.
Mister, quanto ad allenatori immaginiamo non le sia andata male.
«No, direi di no. Lungo la strada ho incrociato Eriksson, Trapattoni, Cosmi… E ne sto solo citando alcuni. Ognuno mi ha insegnato qualcosa, sia a livello tattico che in riferimento alla gestione del gruppo. Se poi dovessi citarne uno in particolare, quello no, vado male. Ma di fortuna ne ho avuta, sotto tale aspetto».
Chi guidava la Juventus quando ha collezionato l’unica presenza in prima squadra bianconera?
«Gigi Maifredi. I tifosi bianconeri non ne conservano buoni ricordi, ma io sì. Facevo parte della Primavera, mi allenavo spesso con i grandi. Un giorno ero in panchina nella sfida contro il Cesena a Torino e sul 3-0 toccò a me, con il subentro negli ultimi minuti a Casiraghi».
Tifoso di quale squadra, lei?
«Da piccolo juventino. E vicentino, chiaro. Quando poi inizi a giocare, ti fai coinvolgere dalla piazza, da quel tifo, da quell’ambiente. Così alla lunga ti appassioni al calcio più in generale, non a dei colori specifici. Ora sono abbastanza neutro. Guardo soprattutto ciò che coinvolge maggiormente. Ad esempio, quest’anno, un Napoli spettacolare».
Lei era in azzurro nel 2003-2004, l’anno precedente al fallimento a cui fece seguito l’ingresso di De Laurentis.
«Ho avuto la fortuna di giocare in piazze che ti entrano nel cuore dal punto di vista affettivo. Napoli è tra queste».
Cosa cerca oggi, in una partita di calcio in tv?
«Credo un allenatore smetta di godersi le partite e vada alla ricerca di spunti, suggerimenti, situazioni. Situazioni che esulano dall’aspetto emozionale. Faccio un esempio: osservi come difende una, in quanti attacca l’altra, eccetera. Dopo di che, non significa scimmiottare un tecnico, bisogna saperci aggiungere qualcosa. Copiare gli allenamenti di Pep Guardiola sarebbe semplice, è sufficiente una ricerca internet e gli esercizi li proponi pari pari. Ma devi spiegare alla squadra perché fai così, con quali motivazioni scegli una o l’altra strada. Ecco, a proposito: io penso un tecnico non debba limitarsi solo al lavoro di campo. È fondamentale, nessun dubbio. Eppure quando guidi una squadra entrano in gioco altri aspetti: la comunicazione, il rapporto con staff tecnico e società, tifosi…».
Un po’ a caso, semmai esistesse il caso, lei ha imparato queste dinamiche nell’esperienza di Vicenza.
«Che stagione (la 2017-2018, ndr). Sono cresciuto in modo esponenziale, perché la società era in crisi e dovevamo davvero occuparci di mille situazioni oltre all’aspetto di campo. Nel frattempo, la città ha continuato a seguirci e io vivevo la responsabilità di quei colori. Salvarci nel playout contro il Santarcangelo rimane un’emozione pazzesca, unica».
Eppure quell’estate è sceso all’Este, in D.
«La gavetta conta, eccome. Io peraltro non conoscevo nulla della categoria, non avendola dovuta frequentare nel mio percorso nel professionismo da calciatore. Ho quindi appreso dinamiche, conosciuto giocatori, imparato a gestire i giovani e la regola di utilizzo e così via. Questa categoria è molto formativa».
La Dolomiti Bellunesi necessita di risultati, ma soprattutto di entusiasmo dopo un anno complesso, difficile, deludente.
«Ma una base per ripartire c’è, attenzione. Io non entro nel merito di quanto accaduto nella stagione da poco lasciata alle spalle, non è corretto. Però quando ho visto le partite, mi è parso di notare un gruppo con valori e sul rettangolo verde una squadra ordinata e mai in balia degli avversari, qualsiasi essi fossero. Le potenzialità erano quelle di salvarsi con maggior anticipo».
Cosa le è piaciuto in particolare del direttore generale Luca Piazzi?
«Una persona preparata e professionale, in un ambiente nel quale la professionalità non è un valore chissà quanto diffuso. Quando ci siamo sentiti e incontrati, ho colto subito che si poteva parlare assieme di calcio in ogni sua sfumatura. Al tempo stesso, mi è parso di avvertire obiettività e consapevolezza di cosa dovremo andare a fare. La conoscenza tra noi andrà migliorata di giorno in giorno, chiaro. Ma nel frattempo mi sono ritrovato a parlare di calcio in un certo modo e sono contento».
L’ambiente cerca pure compattezza, adesso poi che è uscito un pezzo da 90 come il vicepresidente Gianluigi Della Vecchia.
«Ritengo sia impossibile pensare ad una fusione di tre storiche società senza che subentrino problemi o difficoltà. I cambiamenti creano scombussolamenti. Però io, arrivando da fuori, ho percepito la forza di una realtà con valori, strutture e blasone. Ogni anno giocare contro Belluno, Union Feltre e l’ultima volta anche San Giorgio Sedico era difficile e stimolante. E attenzione: molti calciatori ambiscono a venire qui».
Quanti ne confermerete dell’ultima rosa?
«Le idee le abbiamo, qualche ragazzo importante dal quale ricominciare c’è. Conta solo una cosa comunque: la motivazione. Non interessa chi viene a svernare senza interesse a dare una mano concreta alla Dolomiti».
Ultima domanda: lei è un mister che parla di tattica o meno? Sa, ci sono filosofie contrapposte tra i tecnici.
«Certo, è il mio lavoro. Il martedì alla squadra devo dire cosa è accaduto la domenica, dove abbiamo sbagliato e su cosa occorre migliorare. Se non sono credibile, allora diventa difficile».
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