«Cara scuola, sembra ieri... ma come sei cambiata». Belluno, i neo pensionati raccontano gli ultimi 40 anni in classe

Ragazzi più fragili, rapporti con le famiglie più complicati, burocrazia sempre più farraginosa: il mondo della scuola visto dagli occhi di docenti e assistenti amministrativi che nella scuola hanno passato tutta la loro vita e che ora si preparano ad andare in pensione. Un addio che non è indolore: molta la commozione per lasciare studenti, colleghi, un ambiente di lavoro collaborativo e quasi familiare. Sono cinque i dipendenti del mondo della scuola che parleranno della loro esperienza, di cosa ha significato per loro l’ambiente scolastico dove hanno passato in media almeno 40 anni, diventando protagonisti dei tanti cambiamenti che questo settore ha subito negli anni. A spiegare il loro punto di vista sulla positività o meno dei cambiamenti saranno i docenti di scienze Marina Iarabek, di lettere Francesco Mazza e di sostegno Maria Daniela Gaz e Ivana Bogo, l’assistente amministrativa del Comprensivo 2 di Belluno Teresa Fasano. Un viaggio tra diverse esperienze per tracciare un quadro della scuola di oggi.
La vicaria del Renier / Marina Iarabek: «Drammi per un 5. Rialzarsi e crescere è più difficile»
«La scuola è cambiata molto negli anni, ma mi spiace dirlo non sempre in meglio». Sono parole amare quelle che arrivano da Marina Iarabek, docente di scienze per 42 anni di cui 32 al liceo Renier di Belluno.
Una vita dedicata alla scuola con grande entusiasmo e voglia di fare. Una voglia di fare che si è scontrata soprattutto negli ultimi anni con il venir meno della collaborazione tra docenti e famiglia. Ed è proprio questo che l’insegnante, che dal primo settembre sarà in pensione, evidenzia nella sua analisi della carriera ed è per questo che ha deciso gli ultimi anni di fare la vice preside, lavorare dietro le quinte e non più in prima linea in classe.

«La mia prima supplenza l’ho fatta all’istituto Calvi per sostituire una maternità, poi ho fatto anche quattro anni dalle Canossiane di Feltre ed infine dal 1991 sono approdata al Renier e non me ne sono più andata. Molti colleghi mi spronavano ad andare magari al liceo scientifico per fare una esperienza diversa, ma ho messo sulla bilancia da un lato l’avere forse maggiore possibilità di spaziare con la mia materia e dall’altro il trovarmi in un ambiente collaborativo, cordiale e solidale, dove si va volentieri ogni mattino al lavoro. E ho preferito quest’ultima chance», ci racconta la docente che passa poi a descrivere come ha visto cambiare la scuola in 42 anni di carriera. «La scuola è cambiata tanto, e mi dispiace non così in meglio, soprattutto nei rapporti tra docenti, ragazzi e famiglia. A mio parere ci sono grosse fragilità perché i genitori non supportano più i docenti. Se un genitore dice una cosa e l’insegnante un’altra è finita. I genitori difendono sempre i figli e quindi diventa sempre più difficile fare il nostro lavoro. Per questo ho preferito gli ultimi anni fare la vicaria, un compito per nulla facile come ho provato sulla mia pelle. Perché bisogna cercare di gestire i colleghi, i genitori, gli alunni, cioè gestire tutti i componenti di una scuola, e non è semplice».
Marina Iarabek evidenzia poi come il cambiamento ha interessato anche gli studenti. «I ragazzi sono diventati fragilissimi: quando vedo un ragazzo che ha preso 5 uscire piangendo dalla classe, mi chiedo perché. Questa è la vita, se uno prende un 5 non succede nulla, si va avanti, ci si impegna e ci si fa forza, invece vedo che i ragazzi di oggi, in generale, mollano subito». Un comportamento che per la docente in parte va ricondotto anche all’atteggiamento dei genitori. «Se anche un genitore fa una tragedia per un 5, allora non c’è scampo. Credo invece che la famiglia dovrebbe sostenere il ragazzo, stimolarlo perché la prossima volta faccia meglio. La sconfitta è insita nella vita, ma va gestita, perché solo così si cresce. Oggi nella scuola c’è lo psicologo a disposizione perché ci sono delle situazioni particolari e difficili. Ma sono solo alcune situazioni, non tutte, eppure oggi la maggior parte cerca il supporto psicologico. Purtroppo vedo che la scuola non aiuta più a formare le “spalle larghe” dei ragazzi».
La docente guarda con entusiamo invece al rapporto tra colleghi. «Qui al Renier sono arrivata 32 anni fa e non ho più voluto andarmene. Ho visto la sua trasformazione da vecchia scuola magistrale, a istituto con indirizzo psicopedagogico fino a liceo delle scienze umane. Cambiamenti che però sono sempre stati supportati da un bel gruppo di docenti pronti a collaborare».
Ma anche se prossima alla pensione, Iarabek di entusiasmo ne ha da vendere. E per non farsi mancare nulla, la docente ha deciso di fare anche l’esperienza di presidente di commissione all’esame di Stato: sarà all’istituto Colotti di Feltre. «E poi da settembre mi dedicherò alla mia famiglia, agli hobby, ai viaggi, e al volontariato con Insieme si può. E perché no a qualche pizza con gli ex colleghi», conclude.
La docente di sostegno / Ivana Bogo punta sull’inclusione: «I disabili migliorano in classe»
«La scuola oggi è più focalizzata sugli obblighi burocratici, togliendo energia a questo lavoro che deve essere concentrato sui ragazzi». Ivana Bogo, 41 anni di insegnamento di cui 30 all’istituto Catullo di Belluno, a settembre sarà in pensione grazie all’opportunità offerta dal governo con la cosiddetta Quota 103.
Ma lasciare la scuola per Ivana è motivo anche di tristezza. «Amo questo lavoro, ho scelto io di specializzarmi in sostegno. Per questo ho seguito moltissimi corsi di alta specializzazione, ho partecipato a numerosissimi corsi di aggiornamento. Ho sempre voluto aiutare le persone più deboli. E penso di saperci fare con i ragazzi», ci racconta.

Ivana Bogo si è diplomata al Catullo come segretaria amministrativa e subito ha iniziato le supplenze prima al Colotti di Feltre, poi a Pelos di Vigo di Cadore e poi è tornata da dove era partita, cioè al Catullo. «In questa scuola mi sono trovata molto bene, l’ho sempre considerata la mia scuola, e quindi mi è venuto naturale restare qui per tutta la mia carriera», ci dice e poi ci racconta che quando arrivò ad insegnare «eravamo soltanto quattro docenti di sostegno e ora siamo una trentina. E questo dimostra come questo istituto abbia ottenuto nel tempo una esperienza trentennale nell’inserimento di ragazzi con disabilità: qui lo studente viene accolto bene ed è messo al centro».
Ma anche in questo settore l’approccio nel tempo è cambiato. «All’inizio i ragazzi cercavano il dialogo con il docente, adesso lo fanno solo per alcune situazioni. Sono più estranei, forse anche per l’età. Il docente di sostegno è visto come un educatore, ma il mio compito è quello di creare tra noi empatia. Credo che tutti gli studenti, a prescindere dalle loro condizioni di salute, abbiano molto da dare: spetta a noi docenti saper “estrapolare” quanto hanno».
E nella sua carriera di soddisfazioni in questo senso Bogo ne ha avute molto. A cominciare dalle centinaia di lettere che gli studenti che ha seguito le hanno scritto negli anni, ricche di riconoscenza e di amicizia, come lei stessa ci mostra aprendo un fascicolo corposo. E mentre lo fa i suoi occhi si illuminano di gioia, di tenerezza, ma anche di un po’ di orgoglio.
Ma anche i risultati dei ragazzi parlano chiaro. Alcuni studenti si sono diplomati con ottimi risultati, «segno che possono crescere, possono migliorare e lo possono fare con l’integrazione, con il confronto con gli altri compagni. Per la crescita degli studenti con disabilità è fondamentale l’inclusione, perché dall’imitazione dei ragazzi “normali” riescono a raggiungere obiettivi soddisfacenti. Di questo sono fermamente convinta e su questo mi sono sempre impegnata nel mio ruolo».
Per Ivana Bogo quanto attualmente si fa nel sostegno è positivo, ma si potrebbe fare di più, a cominciare «dal maggior riguardo per queste persone svantaggiate». Persone con cui la docente si è sempre rapportata con dolcezza ma anche con fermezza: «Dai ragazzi che seguo pretendo che si comportino bene, seguendo le regole come fanno tutti gli altri compagni: in una classe ci sono principi da rispettare», ci spiega. Parlare del pensionamento però la commuove: «Penso di avere dato tanto, di non essermi mai risparmiata. Ora avrò tempo per i miei hobby, la mia famiglia. E ai giovani colleghi di sostegno che arriveranno non nascondo che sarà faticoso, ma la fatica si supera con l’amore per questo lavoro».
La veterana dell’amministrazione / Teresa Fasano: «Segreterie appesantite dalla burocrazia»
In 38 anni di lavoro, Teresa Fasano ha visto complicarsi sempre di più la sua attività di assistente amministrativa. Programmi sempre diversi, uso del computer indispensabile a scapito dei rapporti personali.
Fasano, diploma magistrale, ha iniziato la sua carriera come collaboratrice scolastica prima a Falcade, poi a Longarone, Feltre, Trichiana, Pieve di Cadore, girando praticamente un po’ tutta la provincia. Ma poi è arrivata la possibilità di partecipare ad un concorso interno per il passaggio di qualifica. E da qui il suo sogno si è avverato e da qui la sua attività si è stabilizzata all’istituto comprensivo Tina Merlin, dove lavora da 23 anni.

È praticamente la veterana delle impiegate della scuola. Lei si occupa di didattica, della formazione delle classi dalla scuola dell’infanzia alle medie. E per questo rimpiazzarla da settembre non sarà facile. «Devo ammettere che negli ultimi anni la mia attività si è complicata non poco», ci spiega. «All’inizio era più facile: i genitori iscrivevano figli, e si facevano le classi. Ora invece ci sono molti più passaggi, ci sono tante carte da compilare, tante rilevazioni da eseguire e inviare a Roma. Se un bambino viene trasferito bisogna chiedere alla scuola che lo accoglie se ha spazio. Inoltre all’inizio della mia carriera il computer si utilizzava poco, adesso praticamente quando inizi ad imparareun programma è arrivato il momento di passare ad un altro. Ogni comunicazione con i genitori avviene online, insomma tutto è più complicato». Ma anche i ragazzi nel tempo sono cambiati. «Devo ammettere che sono un po’ più ribelli, rispondono più a tono. Un tempo erano più tranquilli, ma d’altra parte la società è cambiata. Però devo ammettere che sono comunque educati, quando arrivano in segreteria chiedono sempre per piacere e ringraziano. E questo è importante».
La veterana della segreteria del comprensivo 2 evidenzia come anche la scuola sia cambiata. «Questo è un istituto stimolante, dove si propongono sempre cose nuove da fare, dove si impara sempre, e dove in ogni cosa devi metterci impegno, e tutto questo seppur faticoso e impegnativo, è molto gratificante. La nostra preside è un vulcano di idee».
Ma se molto è cambiato in questi 38 anni di attività, per Fasano quello che non è cambiato sono i rapporti umani con i colleghi. «Qui mi sono trovata molto bene, l’ambiente è accogliente, ci si aiuta reciprocamente. Sicuramente mi mancherà molto il rapporto che si era creato con i colleghi, ma anche con i ragazzi. In fondo questo è un lavoro che ti mantiene giovane, perché hai a che fare con tanti giovani. Si va dai bimbi dell’asilo fino ai ragazzini delle medie, e vederli crescere è molto entusiasmante».
Prima della pensione, Fasano dovrà come sempre in questo periodo preparare le classi per il prossimo anno scolastico. «Saranno giornate intense, ma poi da luglio sarò a casa e potrò godermi la famiglia con tranquillità, perché questo è comunque un lavoro che ti porti in fondo un po’ a casa perché alla sera prima di addormentarti mentre fai un bilancio, sei in ansia per paura di aver sbagliato o dimenticato qualcosa. Poi mi dedicherò ai viaggi e anche ad un po’ di meritato riposo».
Il professore pendolare / Francesco Mazza: «L’attenzione si cattura con esempi di vita reale»
Partito da Firenze per amore della montagna, il professor Francesco Mazza la montagna bellunese non l’ha mai voluta abbandonare neanche quando il lavoro lo ha chiamato a Belluno. Infatti, ha preferito fare il pendolare da Domegge ogni giorno pur di rimanere tra i suoi monti. Una scelta di vita che non rinnega, anzi.
Docente di materie letterarie al liceo Renier di Belluno, da settembre sarà in pensione dopo 41 anni di lavoro, ma in controtendenza rispetto ai colleghi, non vede cambiamenti, almeno rilevanti, nel mondo della scuola.

Mazza ha iniziato la sua esperienza scolastica alle scuole medie di Lorenzago, poi a quelle di Santo Stefano, di Domegge per passare anche a Pieve di Cadore. Ha insegnato per 16 anni al liceo scientifico di Pieve di Cadore per poi concludere la sua carriera con i tre anni ai licei Renier di Belluno.
Per tre anni, anzi due visto che il primo ha insegnato da remoto con la Dad per la pandemia da Covid, ha fatto ogni giorno il pendolare da Domegge, dove risiede, al capoluogo: oltre 90 chilometri percorsi quotidianamente. Un’impresa non semplice, faticosa, ma che il prof ha fatto più che volentieri, quasi senza accusare lo sforzo. «Il lavoro del docente negli anni per quanto mi riguarda non è cambiato: io vengo dalle medie e di burocrazia ne ho sempre vista tanta per cui non mi spaventa. Anche il rapporto con gli studenti per la mia esperienza non è cambiato: io parto sempre dal presupposto che l’insegnante debba essere il primo a comportarsi bene e gli alunni non possono non fare altrettanto».
Anche le materie letterarie possono essere stimolanti se calate nel quotidiano. «Queste materie diventano tanto più stimolanti quanto più si fa riferimento alla vita di tutti i giorni. Certo con Dante trovare dei riferimenti attuali è difficile, ma con la letteratura dell’Otto-Novecento è più facile, gli agganci ci sono e sono molti».
Sul fronte degli studenti Francesco Mazza non evidenzia particolari disagi. «Noto nei ragazzi le classiche fatiche oggettive dello studio e dell’affrontare un testo letterario, e anche le fatiche dovute agli interessi diversi da quelli della scuola, cose che anche ai nostri tempi erano evidenti».
Ma ad aver segnato le vie dei ragazzi c’è il Covid. «Per quanto mi riguarda, come docente ho fatto la mia solita parte seppur a distanza, anche se dall’altra parte non arrivava niente o quasi e poi c’era sempre il famoso alibi della connessione saltata, cosa che come docente di lettere non posso dire se era vero o meno. Sicuramente è stato un anno di mancanza di crescita per i ragazzi, ma il gap è stato recuperato».
Lasciare il proprio posto di lavoro per Mazza è dura, anche se cerca di smorzare la commozione. Ma da un lato c’è anche una certa serenità, perché finalmente si potrà dedicare alle sue passioni. «Il pensionamento non mi piace molto», confessa, «ma ad un certo punto ci si ritrova inadeguati alla scuola: le forze mancano. Presto mi dedicherò a fare legna nei boschi, ai restauri, al bricolage e andrò a passeggiare in montagna».
L’insegnante di musica / Maria Daniela Gaz, un punto fermo: trasferimento per seguire l’allievo
Quando si dice la passione per il proprio lavoro. Maria Daniela Gaz, 42 anni di insegnamento nella scuola, per chiudere in bellezza la sua carriera ha voluto seguire un suo studente portandolo dalle medie al biennio delle superiori.
Un’esperienza che Gaz definisce «importante e fondamentale per agevolare l’inclusione scolastica».
Maria Daniela Gaz ha iniziato la sua carriera alla scuola media di Agordo insegnando musica, poi si è trasferita per otto anni in provincia di Treviso per poi ritornare a Belluno prima alle medie Ricci, poi a Castion ed infine al Renier. Un percorso particolare il suo perché dopo 10 anni di insegnamento musicale, ha deciso di dedicarsi al sostegno. Ma lo ha fatto seguendo i suoi studenti con disabilità.

«Questa esperienza l’avevo già fatta nel Trevigiano quando dalla scuola media di Colle Umberto ho seguito il mio studente all’istituto alberghiero di Vittorio Veneto. Questo per curare l’inclusione che è importantissima per la disabilità. Inclusione significa garantire un ponte, un filo comune tra un ordine di scuola ad un’altra tramite le persone. A Vittorio Veneto avevo fatto questa esperienza sfruttando l’utilizzazione, mentre adesso ho utilizzato il trasferimento».
Ma per fare questo la docente con una esperienza trentennale alle spalle, ha dovuto fare anche l’anno di prova passando al liceo Renier. Anno che si è concluso nei giorni scorsi e ora attende di sapere se l’ha superato. «La risposta arriverà dopo la metà di giugno, ma spero di averlo superato, anche se da settembre sarò in pensione. Ma è una cosa che dovevo fare», ci spiega. «Perché l’insegnante di sostegno dovrebbe accompagnare il ragazzo da una scuola all’altra per garantirgli di avere sempre un punto di riferimento soprattutto quando arriva in un ambiente nuovo e in un periodo della vita difficile come è l’adolescenza».
Gaz ci racconta, ancora emozionata, cosa ha rappresentato questa sua scelta per lo studente che ha portato al Renier. «Io non gli avevo detto nulla della mia intenzione, perché ancora non sapevo se sarebbe stato possibile. Ma il primo giorno di scuola, quando mi ha visto varcare la porta del liceo, è diventato tutto rosso e si è commosso: per me è stata una sensazione bellissima».
Per la docente questa scelta «è stata molto importante: benché io abbia sempre puntato molto sull’autonomia del ragazzo disabile, questo accompagnamento sarebbe sempre necessario. Ho comunque già avvisato lo studente che dal prossimo anno io non ci sarò più con lui».
Lasciare la scuola quindi anche per questo diventa difficile per la docente: «Per 30 anni mi sono sentita a mio agio ad aiutare le persone in situazione di disagio. Pertanto, mi dispiace lasciare i miei ragazzi, perché la soddisfazione maggiore per me è vederli crescere, vedere i loro progressi. Ed è questa la motivazione che mi ha sempre spinto in questo lavoro. Qualche giorno fa la docente del comprensivo di Ponte, dove andava il mio studente, mi ha chiamata per dirmi che lo ha visto diverso, cresciuto, maturato. Purtroppo le mie forze iniziano a mancare. Però ora potrò tornare a dedicarmi alla musica e ai miei hobby»
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi